Persone libere in Cristo
L’avvicinarsi della Pasqua si accompagna oggi ai segnali devastanti che provengono dalle guerre. Gesù, buon pastore e “porta delle pecore”, ci offre una parola per uscire dal regno del peccato e della morte
«Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades» (Apocalisse 1, 18).
Seguendo l’indicazione del lezionario Un giorno, una Parola, il messaggio per la Pasqua di quest’anno sta nel segno dell’Apocalisse. Come è noto, l’ultimo libro del Nuovo Testamento è uno scritto enigmatico, che non ha avuto sempre delle valutazioni unanimi. Da una parte, il testo è stato considerato complesso e difficile da leggere; dall’altra parte ha avuto anche una storia della ricezione molto semplificata, rappresentata dai tentativi di poter interpretare o prevedere il corso della storia all’insegna delle visioni rivelatrici. Nel nostro tempo risulta nuovamente più significativa la domanda sui “tempi apocalittici”. Si tratta di eventi ancora lontani da noi, oppure sono momenti che rispecchiano il nostro mondo attuale?
Il versetto tratto dal primo capitolo dell’Apocalisse potrebbe anzitutto offrirci una riflessione sulla situazione fatalmente contraddittoria e devastante che il nostro mondo sta vivendo: un mondo contrassegnato ancora dal potere della morte, un mondo “intero” che è “diviso”, una realtà che da una parte desidera e implora la pace, ma che dall’altra contribuisce soltanto ad aggravare i conflitti. In guerra con sé stesso, il mondo con la sua stessa sapienza, che diventa follia, è arrivato al capolinea. Potrebbe venirci in mente anche un pensiero espresso nel Vangelo secondo Marco: «Se un regno è diviso in parti contrarie, quel regno non può durare» (3, 24). Una considerazione simile la troviamo in forma diversa ancora nella letteratura non cristiana alla fine del secondo secolo d.C.: «A dire il vero ciò che fai è il contrario di quello che desideri. Tu credi di poter sembrare un uomo colto facendo prontamente incetta dei libri migliori, ma questo tuo zelo ti danneggia e diventa in un certo senso la prova della tua ignoranza»1. Sono le prime parole del trattato A un bibliomane ignorante di Luciano di Samosata.
La consapevolezza dell’incongruenza della propria esistenza ci ricorda la nota affermazione dell’apostolo Paolo nella sua Lettera ai Romani: «Infatti, il bene che voglio, non lo faccio, ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me» (Romani 7, 19-20). Come chi, nel suo zelo di apparire istruito, si dimostra in realtà ignorante, così la nostra convinzione di fare il solo bene ci porta a compiere ciò che è il suo esatto contrario. Ma come è possibile vivere in una tale contraddittorietà la propria esistenza? E che cosa c’entra tutto questo con il versetto indicatoci dal lezionario del 2024 per il giorno di Pasqua?
Pasqua è il momento durante l’anno in cui ci troviamo a celebrare l’evento fondante della fede cristiana: ricordiamo che la morte è stata sconfitta . Gesù, morto sulla croce, è vivo per i secoli dei secoli e tiene pure le chiavi d’accesso al regno della morte e dell’Ades. La Parola della vita quindi ha l’ultima parola, è più forte della morte e del peccato.
Nel Vangelo secondo Giovanni, Gesù si presenta non solo come il buon pastore, che dà alle pecore l’accesso all’ovile, ma anche come la “porta delle pecore” (Giovanni 10, 7). Il buon pastore che parla qui fornisce così delle parole determinanti a coloro che hanno orecchie per udirle, e che intendono quello che è il loro significato nel proprio contesto temporale e culturale. Cristo stesso è la chiave di lettura che ci dona la possibilità di essere persone libere, e che possono fare un uso sensato dell’insegnamento che da lui hanno ricevuto. La parola del Risorto, ascoltata e praticata ogni giorno, ci aiuta a uscire dalla prigionia del regno del peccato e della morte. La parola di Cristo vuole tenere così sotto controllo la furia della forza vendicatrice e omicida della guerra degli uni contro gli altri. Detto nel linguaggio figurato dell’Apocalisse, Colui che alla fine della storia cavalca il cavallo bianco è vincitore nella forza della sua parola redentrice definitiva.
1 Luciano di Samosata, A un bibliomane ignorante. A cura di V. Girardi. Milano, Archinto, 2007.