29 marzo 1993, la firma dell’Intesa fra Stato e Unione battista

Un lungo e partecipato iter per giungere agli importanti accordi con lo Stato italiano

 

L’Intesa fra Stato italiano e chiese battiste fu firmata il 29 marzo 1993 dall’allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato e dall’allora Presidente dell ‘Ucebi, l’Unione cristiana evangelica battista in Italia, pastore Franco Scaramuccia.

 

Lungo fu l’iter delle discussioni in seno alle chiese battiste, a causa del congregazionalismo, per cui singolarmente tutte le chiese discussero tra un’Assemblea e l’altra, e di una concezione di radicato separatismo rispetto allo Stato; in compenso la trattativa con lo Stato fu complessivamente rapida – nota Scaramuccia- in quanto c’erano già state in precedenza altre 4 Intese, oltre alla prima, quella valdese – di cui ora ricordiamo il quarantennale del 21 febbraio 1984,a firma dell’allora moderatore Giorgio Bouchard col Presidente del Consiglio Bettino Craxi – quella con le comunità ebraiche, con gli Avventisti e con i pentecostali delle Adi; (traggo queste notizie dal commento puntuale, articolo per articolo, di Renato Maiocchi ,che partecipò alle trattative quale rappresentante ufficiale dell’Ucebi e da Franco Scaramuccia, autore di un’importante Nota storica nel volume citato)*.

 

Si era in piena “Tangentopoli”, e successivamente il governo Amato cadde e si andò alle elezioni del ‘94, che dettero come risultato il governo Berlusconi di Centro destra, e al Parlamento l’attuazione dell’Intesa si arenò, fino al 12 aprile 1995.  Maiocchi si concentra, punto per punto, che qui non è possibile seguire, rimandando al testo citato, sulle novità e specificità della confessione battista.

 

Innanzitutto, il “Preambolo”, in cui si sottolineano i principi del battesimo dei credenti, del valore della chiesa locale nella sua autonomia e della non-ingerenza reciproca tra Stato e Chiese nel rispetto dell’ordinamento costituzionale dello Stato. Questo per ribadire la concezione generale dell’Intesa, concepita come un’alternativa sia al Concordato con la chiesa cattolica sia alla legislazione sui culti ammessi del 1929, che all’art. 1 divengono non più applicabili. Molta discussione ci fu intorno all’art. 3, in quanto i ministri per l’Ucebi non sono solo i pastori e i diaconi iscritti ai ruoli, ma, poichè “nulla impedisce che una Chiesa riconosca la vocazione e chiami al ministero pastorale una persona estranea a questi ruoli”,  lo Stato deve avere il mandato delle chiese per accedere alle carceri, agli ospedali, alle caserme e celebrare i matrimoni, si addivenì  che “l’Ucebi, attesa l’esistenza di una pluralità di ministeri al suo interno, comunica agli organi competenti i nominativi dei ministri designati per i compiti, etc.”. L’art.4 prevede poi l’assistenza spirituale non solo alle forze armate, ma anche alla polizia, ai vigili del fuoco,etc.

 

L’art.8, sull’insegnamento religioso nelle scuole ha fatto rischiare la rottura nota Maiocchi, e rimando a una lettura integrale del suo testo -sul “diritto di non avvalersi” e sugli orari scolastici che non debbono avere effetti discriminanti. Anche l’art. 9 sul matrimonio ebbe una gestazione complessa, riferendosi però ai testi delle Intese stipulate con gli evangelici ( Avventisti e Adi) , “preoccupate di eliminare il più possibile dalle celebrazioni del matrimonio nelle rispettive Chiese tutti quegli atti che appartengono alla sfera civile”.

Gli art. 11 e 12  e sgg.riguardano il riconoscimento e la gestione di enti ecclesiastici ( una chiesa locale che abbia le caratteristiche richieste dal Patto Costitutivo può essere costituita in ente ecclesiastico dell’ordinamento battista e ottenere il riconoscimento da parte dello Stato). All’art. 16 si accettava la norma sulla defiscalizzazione, non ancora quella sull’8 per mille.  L’ art. 17 prevede che “salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l’esercizio delle sue funzioni in tali edifici senza aver preso accordi con i ministri delle singole Chiese”.

 

Dopo lunga discussione, l ‘8 per mille fu accettato nella Assemblea generale dell’Ucebi  nel 2008 “ per soli fini umanitari, sociali e culturali. Anche per le chiese valdesi il dibattito, dopo la firma dell’Intesa nel 1984, fu lungo: nel 1988 il Sinodo rinviò la discussione alle chiese locali, che si espressero a grande maggioranza a favore, e l’approvazione avvenne nel Sinodo del 1991, con la decisione che almeno un terzo dei proventi andassero a opere sociali nel Terzo mondo, e che in Italia si sarebbero finanziate esclusivamente iniziative sociali e culturali, ma non le attività di culto -compresi gli stipendi dei pastori-.

 

Nel suo discorso alla firma dell’Intesa, il presidente dell’Ucebi, pastore Franco Scaramuccia,ricorda: “La nostra presenza sul territorio italiano data dal 1863 e da allora attendiamo, dopo le opposizioni e ostilità dei primi tempi fino al regime oppressivo degli anni ’50, un riconoscimento della nostra realtà, che avviene oggi mediante l ‘applicazione nei nostri confronti della visione pluralista del rapporto Stato-Chiese disegnato dal Costituente. (…) L’Intesa garantisce alcuni nostri principi peculiari: la pluralità dei ministeri, il riconoscimento delle Chiese locali secondo la nostra concezione congregazionalista, la separazione tra Stato e Chiesa come espresse dal nostro ordinamento, la cui autonomia la repubblica riconosce nel testo che abbiamo sottoscritto.”

 

A conclusione del suo articolo di dieci anni fa a Trent’anni dall’Intesa valdese (pubblicato poi nei Quaderni del Circolo Rosselli, n.2/2015, dopo la Conferenza del 15 agosto 2014 per le chiese valdesi del pinerolese), Giorgio Bouchard scrive:

“Non v’è dubbio che l’Intesa ‘valdese’ abbia aperto una strada per tutti i gruppi religiosi minoritari: in trent’anni sono state stipulate una decina di altre Intese, dagli Avventisti, ai Pentecostali delle Assemblee di Dio, alla Chiesa Apostolica (pentecostale anch’essa), dalle comunità ebraiche ai battisti e ai luterani italiani: ma bisogna aggiungere l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia, i mormoni e i Testimoni di Geova, di cui si comincia a ricordare la tenace ed eroica resistenza antinazista, l’Unione Buddhista italiana e quella induista.(…) Dal 1848 in poi, la battaglia per le Intese è stata sempre condotta in vista di una futura Italia pluralista, e crediamo sia ancora nostro dovere farlo: non siamo dei ‘primi della classe’: – battuta di Giorgio, alludendo al lungo lavoro comune tra gli evangelici – siamo soltanto degli allievi un po’ anziani -qui è l’accenno a quello che oggi, dieci anni dopo sono gli 850 anni dalla nascita del movimento valdese che hanno cercato di studiare seriamente insieme agli altri ragazzi della scuola.”

 

  • *Franco Scaramuccia, Renato Maiocchi: “L’Intesa battista: un’identità rispettata”, Claudiana,1994