Arma Nucleare: attenzione, guai dimenticare
Il Giorno della Memoria che onora e ricorda le vittime e i sopravvissuti ai test nucleari nelle Isole Marshall è un monito per l’oggi e per il futuro
Il Giorno della Memoria che si celebra il 1° marzo è una festa nazionale per le Isole Marshall, è una data importante e utile per ricordare le vittime e i sopravvissuti ai test nucleari effettuati nell’area negli e dagli anni ‘50.
Quest’anno, poi, ricorre il 70° anniversario del più grande test nucleare statunitense: quello chiamato Castle Bravo, avvenuto sull’atollo di Bikini nelle Isole Marshall.
«Quando Castle Bravo fu fatto esplodere sull’atollo di Bikini vi fu una ricaduta radioattiva immediata che si diffuse anche sugli atolli di Rongelap e Utrik e oltre – si legge sul sito del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) – .
L’impatto di quel test (e degli altri 66 che furono effettuati in superficie e sott’acqua negli atolli di Bikini ed Enewetak tra il 1946 e il 1958), lasciò un’eredità devastante oltre a disastrose conseguenze ambientali e sanitarie in tutte le Isole Marshall», afferma Jennifer Philpot-Nissen per il Cec.
«Anche il Regno Unito e la Francia seguirono l’esempio degli Stati Uniti e iniziato programmi con test di armi nucleari nel Pacifico, l’ultimo nel 1996».
Philpot-Nissen osserva che «le conseguenze dei test nel Pacifico sono rimaste “invisibili” e irrisolte. Pochissime persone hanno infatti ottenuto nel tempo un risarcimento o un’assistenza adeguata per le conseguenze subite dopo i test», ha affermato.
Il Cec, infatti, si è sempre e «costantemente pronunciato contro le armi nucleari. Nel 1950 il Comitato esecutivo dichiarò che «[l]a bomba all’idrogeno è stata l’ultima ed la più terribile mossa in un crescendo di guerre, trasformando quest’ultime da lotte tra uomini e nazioni a “omicidio di massa”. Dunque, la ribellione dell’umanità contro il suo Creatore è arrivata a un punto tale che se non sarà domata, la porterà all’autodistruzione».
Da allora il Cec ha continuato a chiedere la completa eliminazione delle armi nucleari attraverso i suoi organi direttivi, le sue Commissioni e le chiese.
In occasione della 6a Assemblea del Cec tenutasi a Vancouver nel 1983, l’attivista marshallese Darlene Keju tenne un discorso in plenaria ricordando che la ricaduta radioattiva dei 67 test nucleari era stata devastante e ben superiore di quanto gli Stati Uniti avessero ammesso, e ricordò i numerosi problemi sanitari che emersero negli anni a seguire. Quel discorso fu definito «il momento in cui i marshallesi poterono trovare voce per parlare della lorto continua sofferenza e delle loro comunità schiacciate dell’eredità dei test nucleari».
«Vi è anche un nesso tra cambiamento climatico e ambiente – ha sottolineato infine Philpot-Nissen – . Quando gli Stati Uniti hanno posto fine ai dodici anni di test nucleari nelle Isole Marshall, hanno seppellito circa 80.000 metri cubi di rifiuti radioattivi sotto una cupola di cemento sull’isola di Runit, nell’atollo di Enewetak. Inoltre, nella cupola sono state depositate anche 130 tonnellate di terreno proveniente da un sito di test irradiato del Nevada».
Scienziati e attivisti ambientali di tutto il mondo temono ora che, a causa dell’innalzamento del livello del mare, la cupola si stia rompendo, con il rischio del rilascio del suo contenuto nell’Oceano Pacifico.
«Nelle Isole Marshall i disastri causati dall’uomo, il cambiamento climatico conseguente e i test nucleari convergano aggravandosi a vicenda – ha concluso Philpot-Nissen -. Tuttavia, gli isolani del Pacifico che si trovano oggi ad affrontare “l’eredità” di una vasta e deludente attività nucleare affrontano, come i loro antenati, questa tragedia con resilienza e dignità. Sono soprattutto i giovani del Pacifico a gridare forte la richiesta di una formale ammissione di colpa e chiedono dunque le debite scuse e soprattutto chiedono risarcimenti urgenti e misure da adottare per affrontare il danno arrecato alle loro terre, alle loro acque e alla loro popolazione in vista di quelli futuri».