A quarant’anni dall’Intesa manca una piena libertà religiosa
Le settimane che precedettero l’evento e l’iter del nuovo Concordato. L’accordo con le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese aprì una strada nuova: manca però, a tutt’oggi, una legge per tutte le fedi in Italia
La mattina del 21 febbraio 1984 fui convocato dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal sottosegretario alla Presidenza, Giuliano Amato, a Palazzo Chigi per concorrere alla stesura del testo del discorso che Craxi avrebbe pronunciato il pomeriggio al momento della firma. Mi ero preparato un testo che venne sostanzialmente recepito. Per la cronaca, il pezzo che mi fu cassato era quello in cui parlavo dei rapporti tra laburisti e metodisti britannici. «È troppo partitico – disse Craxi –, io non posso pronunciarlo».
Ero all’epoca deputato (eletto nel 1979 e rieletto nel 1983) e uno dei due vicesegretari nazionali del Psi (dal settembre di quello stesso anno, per la cronaca, non lo sarei più stato). Consideravo l’Intesa, a parte tutti gli altri importanti aspetti che riguardavano più direttamente i valdesi-metodisti, una significativa testimonianza che una Chiesa cristiana poteva stabilire i suoi rapporti con lo Stato italiano in modo diverso dal modello concordatario. Mi sembrava e mi sembra un fatto molto importante in Italia. Non avevo avuto dubbi quindi nel sostenerne l’approvazione.
Mio padre Giorgio era membro della commissione che trattava per conto della Tavola valdese (e anche della commissione delle Assemblee di Dio in Italia). C’era anche quindi un aspetto familiare che mi sarà concesso di ricordare. Al momento della firma, in quel pomeriggio di quel 21 febbraio, a Palazzo Chigi, al tavolo della Presidenza c’erano Giorgio Bouchard, Sergio Aquilante e Giorgio Spini da un lato e dall’altro Craxi, Amato e il vicepresidente del Consiglio Arnaldo Forlani, che nella sua persona portava il consenso della Democrazia cristiana.
Era la conclusione di un lungo impegno. Appena eletto deputato, la prima interrogazione che discussi in Parlamento la rivolsi al governo Cossiga per chiedere la sollecita approvazione dell’Intesa. Il moderatore Giorgio Bouchard, il vice Sergio Aquilante e Aldo Visco Gilardi erano nella tribuna del pubblico. Poi cominciai ad accompagnare il moderatore Bouchard e le relative delegazioni dai vari Presidenti del Consiglio che si succedevano. Forlani ci fece ricevere da un suo collaboratore, il dr. Sergio Ercini, che aveva come incarico di occuparsi dell’attuazione del programma di governo. Ma ben presto Forlani cadde e fu chiesta udienza al suo successore, il repubblicano Giovanni Spadolini. Qui si salì di livello, perché fummo ricevuti dal capo di gabinetto, Vincenzo Caianiello, un giurista, che fu poi anche presidente della Corte Costituzionale. Ricordo, peraltro, un’intemerata che gli fece con la sua eloquenza tagliente Giorgio Peyrot, il responsabile dell’Ufficio legale della Tavola valdese.
Ma non si era riusciti a concretizzare il nostro obiettivo. Nel 1983 arriva Craxi, che ci ricevette personalmente, e se i miei ricordi non mi fanno difetto, non a Palazzo Chigi, ma alla sede del Psi di via del Corso per potere parlare più liberamente. Craxi annunciò con molta chiarezza che voleva portare a termine la revisione del Concordato con la Chiesa cattolica e che insieme a questo voleva firmare e portare in Parlamento l’Intesa. Quell’incontro rimase infatti riservato. Seguì poi il 30 gennaio 1984 l’incontro ufficiale a Palazzo Chigi della delegazione della Tavola valdese con Craxi e Amato, e si entrò nella face conclusiva.
Così fu in effetti, e io presi la parola alla Camera sia nell’una (comunicazioni del Governo per la revisione del Concordato) sia nell’altra occasione (approvazione parlamentare dell’Intesa). Fu molto significativo che l’iter dell’approvazione parlamentare dell’Intesa si concluse in Senato il 2 agosto 1984, mentre la ratifica del nuovo Concordato avvenne nel maggio 1985, dimostrando così che il primo adempimento non era subordinato al secondo.
Come diceva don Ferrante, sarà accidente o sarà sostanza, ma credo si possa dire tranquillamente che ci volle una presidenza del Consiglio socialista per arrivare al traguardo. Vanno riconosciuti a Giorgio Bouchard personalmente, e alla Commissione della Tavola, coraggio e determinazione, in momenti molto difficili, in cui nel nostro ambiente c’erano incertezze e aperti dissensi. Non va dimenticata l’importanza che ebbe la “prova di forza ” della manifestazione popolare che il 17 febbraio 1981 era stata tenuta a Torino al teatro Carignano, in cui il popolo valdese aveva dimostrato quanto forte fosse la richiesta di finirla con la legislazione fascista sui culti ammessi del 1929-30 e di avere finalmente l’Intesa in attuazione dell’art.8 della Costituzione.
Quello che allora non si poteva sapere è come la situazione sociale dell’Italia sarebbe profondamente cambiata con l’avvento di un imponente processo migratorio nel nostro paese. A quell’epoca, infatti, si pensava che le Intese sarebbero state stipulate – come avvenne – con le varie chiese protestanti e con l’allora Unione delle Comunità israelitiche in Italia [oggi Unione delle Comunità ebraiche in Italia, ndr]. L’istituto dell’Intesa dimostrò invece la sua vitalità allargandosi via via ad altre confessioni cristiane come quelle ortodosse, ma anche a induisti e buddisti.
La legge sulla libertà religiosa, che pure Craxi aveva annunciato nelle sue comunicazioni al Parlamento nel 1984 e che in anni successivi sia Domenico Maselli sia il sottoscritto avevano via via presentato in Parlamento, non è stata invece approvata per le resistenze che ha trovato il fatto che avrebbe compreso i musulmani, le cui tre principali centrali vorrebbero oggi intraprendere direttamente la via dell’Intesa.
Come si vede quindi la battaglia per la completa attuazione della Costituzione in tema di libertà religiosa non è finita.