L’agricoltura chiede dignità

Un commento alla complicata situazione del comparto che in questi giorni protesta in tutta Europa

 

La protesta è partita dalla Germania. Già da settimane file di trattori bloccavano le strade. Poi si è allargata alla Francia, più di recente all’Italia.

La dilagante protesta del mondo agricolo viene collegata alle politiche europee in materia: più obblighi che aiuti, troppa facilità a importare da fuori eurozona frutta e verdura, magari coltivata utilizzando fitofarmaci o concimi che da noi sono vietati da anni.

Vengono richiesti agli agricoltori sempre più impegni di tutela ambientale, restrizioni sulle modalità di coltivazione, riduzione delle superfici coltivabili del 4% per mettere a riposo a rotazione una parte delle terre.

 

Il nodo di fondo è però la scarsissima redditività delle produzioni e, temo, il costante riferimento a un’Europa “nemica” sconta anche il periodo pre-elettorale di chi vuol cogliere ogni occasione per dimostrare quanto l’Unione europea sia poco amica dei suoi cittadini; in questo caso degli agricoltori.

Bisogna però evidenziare alcuni punti: specie per le zone montane gli aiuti comunitari alle piccole aziende non sono ridotti. Anzi, viene almeno in parte riconosciuto il ruolo di custode dell’ambiente di chi lavora la terra; i premi ai produttori contribuiscono in modo determinante alla vita degli agricoltori.

C’è però una strettoia da cui è difficile uscire: il margine per chi produce è assolutamente insufficiente!

Di qualunque frutto o tipo di verdura si parli, se proviamo a fare il conto, a considerare l’intera filiera, si vede il divario fra quanto viene riconosciuto al produttore e quanto paga il cittadino.

 

Le interviste agli agricoltori si sprecano; se per un carciofo a chi ha lavorato la terra, l’ha irrigata, coltivata e raccolto vengono dati 10 centesimi, e già il grossista lo stesso carciofo lo vende a 70 centesimi, la disuguaglianza è troppo grande. E al consumatore finale quel frutto viene a costare circa 1,40 euro. Cioè chi ha prodotto intasca una miseria e la grande distribuzione si mangia il 50% del prezzo finale. Ed esempi simili si possono fare per altra verdura o altra frutta.

In sostanza, se non si riesce a vendere direttamente ciò che si è prodotto, per l’agricoltore il rischio è di non riuscire a pagare neppure le spese.

Altro esempio il settore latte: una vertenza è stata aperta dalla Coldiretti a settembre con la denuncia della multinazionale francese Lactalis (che ha acquisito i marchi italiani Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani) per aver modificato unilateralmente il contratto con gli allevatori fornitori di latte, diminuendo i prezzi riconosciuti. L’azione è stata riconosciuta come sleale nei confronti del mondo agricolo.

 

Eppure molte aziende agricole hanno timore di ritorsioni nel denunciare eventuali illeciti imposti da grandi gruppi industriali e catene distributive.

Ma un’azione coordinata delle rappresentanze agricole può effettivamente portare a dei risultati e in ultima analisi a una maggiore giustizia sociale. Proprio in ambito piemontese è stata siglata una vera e propria filiera del latte creata con la Inalpi di Moretta: il latte viene raccolto dagli allevatori delle province di Cuneo e Torino al prezzo vantaggioso di 50-51 centesimi al litro, più alto dei prezzi spuntati con altri caseifici.

 

Garantire un equo guadagno a chi lavora la terra, riconoscendone, specie in montagna anche il ruolo di custodi, è il primo passo per rispondere alle istanze di questi giorni.