Perseveriamo nella preghiera? Oppure no?

Un interrogativo che si presenta di particolare interesse in occasionedelle celebrazioni per gli 850 anni del movimento valdese

 

«Tutti loro, uomini e donne, piccoli e grandi, notte e giorno, non smettono mai di imparare e insegnare. Un artigiano che lavora di giorno, la notte impara e insegna. E per questo pregano poco a causa dello studio…». Ci riconosciamo in questo (parziale) ritratto? Già perché si parla proprio di noi valdesi. Non vi ci ritrovate? Più che normale, visto che si tratta di un giudizio di secoli fa, espresso nel Medioevo da un inquisitore (l’Anonimo di Passau), quindi non proprio da un amico dei valdesi. 

 

Eppure, c’è una frase che mi martella, insistente, dopo questa lettura: «E per questo pregano poco a causa dello studio…». Traggo la citazione (in realtà più lunga) dalla bella introduzione di Paolo Ricca all’edizione 2024 di Un giorno, una parola, introduzione dedicata all’anniversario degli 850 anni dalla nascita del movimento valdese. Ribadito ciò che è ovvio (sono frasi da contestualizzare nel periodo storico in cui sono state scritte, tenendo conto della loro provenienza), va detto che lo stesso Ricca definisce «illuminanti» le parole di questo inquisitore a riguardo del metodo di formazione biblica dei valdesi medievali. La citazione, che Ricca trae dal libro di Carlo Papini sul primo secolo del movimento valdese, continua così: «Insegnano e imparano anche senza libri. Insegnano perfino nelle case dei lebbrosi (…). Così anche un discepolo dopo soli sette giorni cerca qualcuno a cui possa insegnare. Ho visto e udito un contadino ignorante, che recitava il libro di Giobbe parola per parola e molti altri che conoscevano perfettamente il Nuovo Testamento».

 

Nello sviluppo della sua introduzione Ricca si sofferma a lungo (e con la consueta efficacia) sul rapporto con la Parola di Dio, sulla passione per la Bibbia (certo un po’ affievolita oggi rispetto ai valdesi medievali) senza toccare il tema della preghiera: non per sminuirlo, ovviamente, ma perché l’oggetto della sua riflessione è un altro. Ma nella mia mente continua a battere quella frase: «E per questo pregano poco a causa dello studio…». Ci troviamo qualcosa di vero anche oggi? Il giusto vanto di essere una chiesa che studia (anche se forse un po’ meno di prima) mette in secondo piano il ruolo fondamentale della preghiera? Noi preghiamo poco e non solo per lo studio? Oppure non è così? Siamo una chiesa che prega? O no?

La risposta non la so, non sono domande retoriche e non è neanche un tema nuovo, si tratti di preghiera comunitaria o personale nella famosa “cameretta” di Matteo 6, 6. Non ho una risposta perché per averne una fondata e non superficiale occorrerebbe conoscere ogni realtà locale e, in fondo, il cuore di ogni sorella e ogni fratello di chiesa. Oltretutto, parlarne citando un prezioso lezionario denso di preghiera come Un giorno, una parola può apparire paradossale. O forse no? 

 

Ecco, in occasione dei nostri 850 anni non è il caso di riflettere anche su questo? Magari mettendo la preghiera, accanto alla Parola di Dio, al centro delle nostre celebrazioni di questo anniversario così importante, facendo nostra l’esortazione dell’apostolo Paolo (Colossesi 4, 2): «Perseverate nella preghiera».