Cinquant’anni di Com Nuovi Tempi e di Confronti

Mezzo secolo di storia di comunicazione evangelica legata a Giorgio Girardet e a dom Giovanni Franzoni

 

Il giornalista e pastore valdese Giorgio Girardet dette avvio cinquant’anni fa a un sogno editoriale: fondare una rivista evangelica. Da quel sogno, nacque il settimanale «Nuovi Tempi». Poi, quel sogno divenne ancor più ambizioso, unire –  nel solco del percorso ecumenico innescato dal Concilio Vaticano II – due realtà cristiane distinte in un’unica testata; dunque, dalla fusione di due riviste «Nuovi Tempi» e «Com», allora attiva in seno alle Comunità di base guidate da dom Giovanni Franzoni (tra i più giovani padri conciliari e già abate benedettino della Basilica di San Paolo Fuori le Mura – sospeso «a divinis» dalla curia per il suo desiderio innovatore e riformatore  e scomparso nel 2017), si diede vita a «Com Nuovi Tempi».

 

Un settimanale che stampava e distribuiva trentamila copie (erano altri tempi…) e nella cui redazione si alternavano intellettuali, studenti di teologia, giornalisti, attivisti, pacifisti, evangelici e cattolici, tutti praticanti e aspiranti giornalisti, alcuni dei quali ancora attivi e volti noti televisivi o firme del mondo della comunicazione mainstream e del Servizio pubblico; ovviamente, anche presenti nei nostri mezzi di comunicazione.

 

Quell’esperienza ecumenica, legata alla comunicazione, è racconta nell’editoriale di Claudio Paravati, direttore del mensile Confronti (di gennaio), rivista che oggi è l’erede di quella esperienza editoriale.

Giorgio Girardet (che ci ha lasciati nel 2011),  fine intellettuale, già direttore del Centro ecumenico di Agape (To), dell’Agenzia Stampa Nev-Notizie evangeliche e titolare della Cattedra di Teologia Pratica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma, fu lui il primo direttore di «Nuovi tempi». Ancora oggi e non solo in ambito valdo-metodista, è ricordato come il «giornalista evangelico per eccellenza», colui che fu capace di diffondere nel modo più efficace nello spazio pubblico il messaggio evangelico, attraverso una comunicazione capillare e un rapporto diretto e stretto con i giornalisti «laici» e con i «vaticanisti» (ancora oggi titolari della comunicazione religiosa, malgrado l’Italia sia evidentemente multuculturale e multureligiosa); insomma, Girardet è stato un vero un «pioniere» nel e del mondo della comunicazione evangelica, il «padre» della comunicazione protestante, un comunicatore attento, scrupoloso, che sapeva muoversi su terreni sdrucciolevoli e spesso condizionati dai cambiamenti repentini in un’Italia in piena trasformazione economica e consumistica e già attraversata da una strisciante secolarizzazione. 

 

Un’Italia, malgrado ciò, fortemente e sempre intensamente legata, anche a livello politico e culturale, al substrato di matrice cattolica.

Far conoscere e soprattutto far comprendere l’importanza del protestantesimo storico, far emergere le caratteristiche e le peculiarità delle comunità e delle chiese evangeliche presenti in Italia, e ancora saper parlare di libertà civili e religiose e fornire un vocabolario corretto corredato con parole chiave necessarie all’insegna della migliore semiotica, fu l’instancabile missione (direbbe oggi il generale e mecenate della cultura Charles Beckwith che proponeva il motto: «o sarete missionari o non sarete nulla»), di Giorgio Giradet. 

 

La recente visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Torre Pellice (la «Capitale dei valdesi» in provincia di Torino) per commemorare il primo discorso europeista di Altiero Spinelli e per incontrare privatamente la Chiesa valdese, può essere considerato anch’esso frutto dell’incessante e instancabile lavoro di formazione e d’informazione seminato da Girardet e dalla moglie Maria Sbaffi, sempre operativamente al suo fianco.

«Era il 1974 – scrive Paravati nel suo editoriale per Confronti – quando quel gruppo di credenti, giornalisti, attivisti, si trovarono fianco a fianco a elaborare, scrivere, prendere la parola: nello specifico, per il referendum attraverso il quale l’Italia scelse di poter divorziare. Fin da allora i componenti delle due redazioni, da una parte “Com”, legata alla Comunità di base di San Paolo, e dall’altra “Nuovi Tempi”, legata alla Chiesa valdese, professavano la loro fede e volevano testimoniare, al contempo, una fede critica, libera, che si facesse custode della libertà di coscienza, e finanche di parola». Proprio in quell’anno nacque l’idea di unirsi: « […] Sono cambiati i tempi e sono cambiati anche di molto: ma non l’impegno, non l’impostazione, non il modo di stare nel mondo. Lo si evince – rileva Paravati – dai titoli, dalle firme, dal modo di fare informazione: si trova una straordinaria continuità fin dai primi numeri, via via fino a oggi. Certo non c’è la stessa militanza, né lo stesso linguaggio, ci mancherebbe. Però, è bene ricordarlo, c’è la presa di posizione: in quell’anno quelle persone capirono che non c’era spazio per dire le cose che si volevano dire; non c’era spazio per far sentire un’altra voce. E allora era necessario che “Com Nuovi Tempi” nascesse, che le voci diventassero, nell’unione, più udibili. Sono i nostri cinquant’anni, e sono mezzo secolo di voci che altrimenti non si sarebbero sentite, minoranze che altrimenti non sarebbero state rappresentante, prese di posizioni a favore degli ultimi, dei più deboli, dei senza diritti; dalla parte della giustizia, dell’informazione libera. Questa nostra voce è una polifonia di firme, di stagioni e di parole chiave, che non pretende di essere quella giusta, né l’unica: ma ha l’ardire di esserci e contribuire. Il nostro spirito è sempre quello, e questo nuovo anno lo vogliamo dedicare a chi allora fece parte della lotta per i diritti: cercheremo di fare ancora oggi la nostra parte, tutte e tutti insieme».

 

Una parte importante, perché oggi il mondo dell’informazione è necessario e dev’essere la voce di chi voce non ha, dev’essere una vigile «sentinella» di chi oggi ha il compito di gestire la cosa pubblica e la nostra politica, dev’essere in grado di dire parole giuste e di prendere posizioni anche  quando queste sono scomode, dev’essere capace di denunciare i malaffare e le violenze contro i diritti umani; essere una bilancia onesta contro le disparità e in grado di di illuminare le periferie dimenticate del mondo, sapendole raccontare senza infingimenti o paure (che oggi più che mai viviamo), saper rappresentare la realtà sostanziale dei fatti. Essere, dunque, una Parola onesta (ricca di parreṡìa evangelica) senza censure e soprattutto senza autocensure.    

 

«Siamo qui non per giudicare le tenebre, ma per illuminarle e dissiparle», scriveva Giradet nel suo diario, tra il 1944 e il 27 gennaio 1945, dal campo di Sandbostel, allora un giovane sottotenente nato nel 1920, deportato nei lager della Germania nazista per il rifiuto di continuare la guerra a fianco dei tedeschi e dei repubblichini di Salò. 

La figlia, Hilda Girardet, ha deciso di raccogliere le testimonianze del padre nel libro: Come canne al vento – Diari della speranza di un pastore evangelico nei lager, edito dalla Claudiana editrice. 

 

Intervistata dall’Agenzia Nev Hilda ha ricordato che l’Evangelo è sempre stato al centro dei diari del padre:

«Credo che diffondere l’annuncio evangelico sia stata effettivamente una preoccupazione costante della vita di mio papà. La trasmissione radio, “Presenza evangelica”, i libri e le pubblicazioni, il Nev: mio padre è riconosciuto per questo suo impegno nel comunicare, e nel trasmettere in particolare l’Evangelo. Non solo, perché è stato uno dei primi e più fervidi intellettuali a porsi il problema di come rivolgersi ai cattolici, lo dimostra nei libri che ha scritto, così come agli indifferenti rispetto ai temi religiosi. Ha sempre avuto una grande attenzione al mondo cattolico – e non solo – il carattere ecumenico del suo percorso credo sia sempre stato prioritario».