L’attualità della Carta di Chivasso 80 anni dopo
L’intuizione degli estensori: una visione di tipo federalista e la correlazione fra dimensione locale ed europea
La mattina del 19 dicembre del 1943 sei giovani attivi nella resistenza, quattro valdesi (Giorgio Peyronel, Mario Alberto Rollier, Gustavo Malan e Osvaldo Coïsson) e due provenienti dalla Valle d’Aosta (Émile Chanoux e Ernesto Page), sottoscrissero la «Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine», più nota come Carta di Chivasso. Nella ricorrenza degli 80 anni da quel giorno, si sono tenuti e si svolgeranno diversi incontri, specialmente ad Aosta e Chivasso, per riflettere sul contenuto della Carta e sulla sua attualità.
La Carta di Chivasso segue e, per certi versi, trova ispirazione nello scritto «Per un’Europa libera e unita», conosciuto come Manifesto di Ventotene, redatto, nell’inverno del 1941, da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi mentre si trovavano al confino nella piccola isola dell’arcipelago Ponziano. Il file rouge che unisce i due documenti è sorretto dall’amicizia tra Mario Alberto Rollier e Altiero Spinelli che è anche alla base della costituzione, il 27-28 agosto 1943, del Movimento federalista europeo proprio nella casa milanese di Rollier in via Poerio. Spinelli, ospite di Rollier a Torre Pellice alcuni giorni dopo, pronunciò un discorso programmatico sul federalismo europeo, episodio recentemente ricordato con l’apposizione di una lapide inaugurata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La Carta di Chivasso ha nondimeno un’impostazione che pone l’accento sulle rivendicazioni autonomiste delle popolazioni alpine che la rendono assolutamente peculiare e, appunto, complementare rispetto al Manifesto di Ventotene. L’aggettivo “locale” viene utilizzato nella Dichiarazione ben quindici volte ed è certamente il termine, non a caso, più ricorrente nel testo. L’intuizione dei redattori della Carta di Chivasso consiste principalmente nell’avere posto in stretta correlazione la dimensione locale con quella europea e di avere compreso, in anticipo e con estrema lucidità, l’importanza di coniugare il futuro assetto repubblicano dell’Italia, su base regionale o cantonale, con un’organizzazione di tipo federale a livello continentale. Solo una siffatta soluzione avrebbe impedito l’eventuale ritorno di uno Stato accentratore e oppressore, in particolare nei confronti delle comunità locali connotate da una lingua e/o da una fede religiosa diverse da quelle della maggioranza della popolazione. Questa nuova impostazione, conseguita attraverso la saldatura tra la dimensione locale e quella europea, avrebbe, di conseguenza, consentito finalmente «l’avvento di una pace stabile e duratura» nel Vecchio continente.
Se il ruolo e il contenuto della Carta di Chivasso sono relativamente conosciuti, meno noto è l’apporto indiscutibile dato dai quattro giovani e intraprendenti valdesi e, soprattutto, le motivazioni e le rivendicazioni che provenivano dalle Valli in quegli anni terribili e decisivi allo stesso tempo.
Poco nota, in particolare, è l’iniziativa, coerente con il contenuto della Carta di Chivasso, dei Consigli comunali delle valli valdesi di portare all’attenzione dell’Assemblea costituente la proposta di istituire un “Cantone delle Valli valdesi” in corrispondenza «dell’alto Pinerolese, in quella zona comunemente denominata delle Valli valdesi» (citata nell’intervento dell’azionista fiorentino Tristano Codignola il 1° luglio 1947 all’Assemblea costituente) e motivata dall’essere quest’ultima «zona mistilingue».
Benché le rivendicazioni dei redattori valdesi della Carta di Chivasso muovessero evidentemente anche dall’esperienza secolare di autonomia e lotta per salvaguardare la propria fede riformata, le loro richieste di autonomia erano essenzialmente di carattere amministrativo e relative a tre aspetti essenziali e tutt’ora molto attuali: le politiche amministrative, quelle culturali e scolastiche e, infine, quelle economiche e fiscali. Del resto, in quel delicato passaggio e così a seguire nella fase costituente del nuovo assetto repubblicano, l’apporto dei valdesi fu portato innanzi in modo indipendente dalla Chiesa valdese la quale, pur avendo avuto, come osservò Gustavo Ribet sull’Eco delle Valli in quei giorni, «la sua funzione di governo del popolo valdese, non può oggi mescolare la sua missione religiosa con questioni locali amministrative».
Tale approccio, sorretto da forte generosità e dalla volontà di ispirare la generalità delle popolazioni alpine, si accompagnò al rapido tramonto del sogno di un Cantone delle valli valdesi mentre veniva concesso alla Regione Autonoma Valle d’Aosta uno statuto speciale. Il frutto essenziale delle rivendicazioni fu, comunque, colto ed è contenuto, tra l’altro, negli articoli 5 (sulle autonomie locali e il decentramento), 6 (sulla tutela delle minoranze linguistiche) e 8 (sul diritto di organizzarsi secondo i propri statuti di tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica) che trovano collocazione nei principi fondamentali (e perciò immodificabili) della Costituzione della Repubblicana italiana.
Ci resta oggi la consapevolezza che la comunità valdese fu protagonista del concepimento di un duraturo modello di convivenza pacifica e civile che dura da 80 anni a questa parte e che spetta a noi salvaguardare e far vivere anche in futuro.
Foto tratta da centrostudidialogo.com