Leader anglicani chiedono lo stop ai bombardamenti a Gaza
«I leader mondiali non possono restare a guardare». Polemiche anche per la mancanza di reazione internazionale alle violenze sulle donne durante l’attacco di Hamas il 7 ottobre
La «campagna di bombardamenti con orribili effetti indiscriminati di Israele deve finire» hanno affermato in un documento vari leader religiosi anglicani, tra cui il vescovo di Southwark, il reverendo Christopher Chessun.
In una dichiarazione congiunta, 68 vescovi e leader ecclesiali, provenienti soprattutto da Stati Uniti, Sudafrica, Gran Bretagna e Irlanda, scrivono: «Adesso basta. Non possiamo rimanere in silenzio mentre generazioni di famiglie a Gaza vengono spazzate via in un istante. I leader mondiali non possono restare a guardare mentre i civili palestinesi a Gaza sperimentano una distruzione e un trauma così catastrofici».
Lunedì, il direttore di Save the Children nei territori palestinesi occupati, Jason Lee, ha parlato dal sud di Gaza: «Non c’è nessun posto sicuro a Gaza. Le famiglie vengono avvertite dalle autorità israeliane di spostarsi, ancora una volta, sfollandole con la forza in aree sempre più piccole, senza alcuna garanzia di sicurezza o ritorno, e senza le infrastrutture necessarie e l’accesso ai servizi per sostenere la vita. Piuttosto che fingere che questi ordini garantiscano la sicurezza e la sopravvivenza delle famiglie, essi presentano invece alle famiglie l’inconcepibile “scelta” tra una condanna a morte piuttosto che un’altra. Non è possibile concentrare un gran numero di civili in frammenti di terra così piccoli senza esacerbare una già terribile catastrofe umanitaria. . . I leader mondiali devono garantire un cessate il fuoco adesso».
Venerdì della scorsa settimana, Rob Holden, un alto funzionario dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) per le emergenze, ha riferito di aver assistito a scene all’ospedale Al-Ahli «come in un film dell’orrore. Quando entri, ci sono pazienti sul pavimento con le ferite più traumatiche che puoi immaginare, potenzialmente traumi del campo di battaglia. . . Mentre entri in ospedale, ti imbatti nei corpi dei defunti che sono morti all’arrivo in ospedale o durante la loro permanenza in ospedale, in fila fuori, in attesa che i membri della famiglia vengano a identificarli».
A livello internazionale, la preoccupazione per l’operazione militare israeliana sta diventando sempre più forte. Il vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha dichiarato alla conferenza sul clima COP28 di Dubai che «troppi palestinesi innocenti sono stati uccisi».
La lettera dei leader religiosi critica la «complicità» degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali, riferendosi ai « mancati sforzi per opporsi attivamente a un cessate il fuoco, anche ponendo il veto a molteplici risoluzioni delle Nazioni Unite». Si sostiene inoltre che «l’escalation della guerra non può essere adeguatamente compresa senza riconoscere il contesto più ampio del conflitto: l’occupazione israeliana in corso e la privazione dei diritti civili dei palestinesi da più di 70 anni».
La lettera riconosce anche il «dolore profondo ed esistenziale sperimentato in Israele a seguito delle azioni di Hamas del 7 ottobre». In totale, a Gaza rimangono 137 ostaggi, tra cui 17 donne e bambini.
Questa settimana, il giornale britannico Sunday Times ha riferito che la polizia israeliana aveva raccolto migliaia di dichiarazioni, fotografie e videoclip, come parte di un’indagine sulla violenza sessuale e sui crimini contro le donne il 7 ottobre.
Il dottor Cochav Elkayam-Levy, esperto di diritto internazionale presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, si è detto «scioccato dalla mancanza di reazione internazionale da parte di organismi come UN Women» a quanto accaduto il 7 ottobre.
Venerdì il Patriarcato latino di Gerusalemme ha pubblicato online un’intervista a padre Gabriel Romanelli, da sei anni parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza. Circa 600 persone si trovano ancora rifugiate nella chiesa. Molti sono arrivati dopo un attacco aereo israeliano sul complesso della chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, che secondo quanto riferito ha ucciso 18 persone, tra cui nove bambini .
Il mese scorso, i Patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno lanciato un appello riguardante le prossime festività, incoraggiando le congregazioni a «rimanere con forza» a fianco delle vittime del conflitto, «rinunciando a qualsiasi attività festiva superflua rispetto al necessario».
«Naturalmente è importante non fare grandi festeggiamenti», ha detto don Romanelli. «È un segno di solidarietà e rispetto verso coloro che hanno perso i propri cari, verso coloro che sono feriti, poiché alcuni cadaveri rimangono sotto le macerie. . .Purtroppo in questi ultimi anni la gente ha dimenticato che il Natale non è solo una festa, ma che l’Avvento è anche un tempo di preparazione e di penitenza. . .Per questo le letture liturgiche scelte dalla Chiesa si concentrano sulla seconda venuta di Cristo, dove Egli giudicherà il mondo. È il grande giudice che sa cosa c’è nel cuore di ogni persona. . . Tendiamo a dimenticare che abbiamo bisogno di una guarigione spirituale».