Un ospedale al servizio di tutti e tutte
La struttura evangelica di Ponticelli a Napoli di fronte alla crisi di organico in campo sanitario e alle restrizioni sopravvenute nel Sistema pubblico
In questi ultimi anni l’ospedale evangelico Betania – che ogni anno eroga oltre 40mila prestazioni di pronto soccorso, accoglie e cura oltre 15mila pazienti e assiste circa 1800 nascite – ha subito in maniera pesante gli effetti del definanziamento a livello nazionale del Fondo sanitario, che vede la Regione Campania particolarmente colpita in termini di tariffe e di budget assegnanti. Ne parliamo con Luciano Cirica, direttore generale dell’Evangelico.
«A causa della spending review tutte le regioni sono state penalizzate, ma in particolar modo la Campania in quanto il calcolo del riparto del fondo sanitario nazionale viene tutt’oggi effettuato in base al criterio dell’anzianità, per cui le regioni che hanno una popolazione più anziana hanno una ripartizione del fondo in percentuali più importanti, mentre la regione Campania, avendo una popolazione giovane, perde circa 250 milioni di euro all’anno. Questa modalità di riparto, che non tiene conto di altri parametri, come ad esempio il tema dell’aspettativa di vita e della povertà sociale, è oggetto di contestazioni da parte del presidente della Regione Campania, De Luca. La logica della spending review oltre a non prevedere l’aumento del budget alle regioni, non ha permesso neanche l’aumento delle tariffe per le prestazioni erogate. A fronte del mancato aumento dei rimborsi da parte della Regione, in questi ultimi anni l’ospedale ha affrontato l’emergenza Covid e poi la ripresa post covid che è stata particolarmente difficile in termini economici, aggravata dal 2022 dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica, dall’aumento delle materie prime e dall’inflazione, dal recente aumento contrattuale del comparto e dei medici: tutto ciò ha conseguenze pesanti sui costi generali di gestione dell’ospedale».
A livello nazionale è mancata poi una qualsiasi programmazione rispetto al personale medico, che significa soprattutto un continuo turnover dei medici. Quali sono le difficoltà su questo fronte?
«Negli ultimi cinque anni è esplosa in maniera impressionante in tutta Italia la crisi degli organici medici. Non solo non ci sono medici che sostituiscano quelli andati in pensione, ma in generale vi sono alcune categorie di medici che oggi è quasi impossibile reperire, come ad esempio i medici del pronto soccorso e gli anestesisti. Anche a Betania abbiamo subito la crisi del turn-over: negli ultimi anni è cambiato il 30% dei medici e l’80% dei primari. Per quanto riguarda il pronto soccorso poi stiamo sopperendo con i medici liberi professionisti, i famosi “gettonisti”: al momento non abbiamo alternative, anche se questo ha un aggravio ulteriore sul budget. Constato amaramente che molti medici lasciano le strutture pubbliche per svolgere la libera professione perché economicamente più vantaggiosa».
A dispetto di queste criticità, Betania continua ad offrire un servizio sanitario di alta qualità e gratuito a tutti: com’è possibile?
«Abbiamo deciso una linea politica e occupazionale che valorizza subito e molto gli aspetti professionali e formativi dei giovani medici. L’attrattiva di questo ospedale rimane a tutt’oggi il fatto che giovani medici possano intraprendere, sostenuti anche economicamente, un percorso formativo e professionale. Certo, corriamo il rischio che questi medici dopo un paio di anni scelgano di andar via, ma al momento non abbiamo alternative».
Poche settimane fa è stato celebrato il 55esimo anniversario dell’ospedale Betania. Quali sono le sfide future?
«Stiamo lavorando, in collaborazione e con il sostegno della Tavola valdese, ad un Piano Industriale triennale di sviluppo e di efficientamento che punta al pareggio del bilancio, salvaguardando sia la quantità e la qualità delle prestazioni, sia l’attuale dotazione degli organici. Il piano comprende: un mini ampliamento della struttura, ormai improcrastinabile, con nuove sale operatorie; l’inserimento della risonanza magnetica; un efficientamento degli ambulatori già esistenti con l’introduzione di nuovi ambulatori, che sono richiesti dal territorio e con i quali ci può essere per l’ospedale anche un ritorno economico. Su questo punto vorrei soffermarmi: in questi anni stiamo toccando con mano la crisi (o la fine?) del Sistema sanitario pubblico. Chiunque provi a chiedere una visita cardiologica in una struttura territoriale pubblica sa bene di dover aspettare mesi o anni. Una nuova sfida oggi è quella di garantire con la nostra struttura il diritto alla salute, ampliando le attività ambulatoriali per superare le difficoltà delle liste di attesa che si sono allungate tantissimo. In questo modo speriamo anche di sostenere il nostro bilancio».
Nonostante le difficoltà, la mission dell’ospedale di porre al centro la cura della persona e i suoi bisogni è rimasta viva…
«Le persone si rivolgono al nostro ospedale perché, aldilà della competenza, della professionalità e della tempestività dell’intervento che offriamo, riusciamo a garantire l’umanità e ad offrire un’accoglienza empatica. Continuiamo ad essere un ospedale al servizio della popolazione più bistrattata ed emarginata della nostra città. Il contesto con cui ci confrontiamo giorno dopo giorno è quello della periferia dove il nostro lavoro è particolarmente importante: se non ci fosse questo ospedale, dove andrebbero coloro che vivono in questa estrema periferia di Napoli?».