Violenze sulle donne, problema degli uomini
A Bologna un incontro organizzato dall’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne per ragionare sul patriarcato che rende tossici i rapporti sentimentali
Lunedì 20 novembre, in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è tenuto un incontro pubblico dal titolo “Violenze sulle donne, problema degli uomini”, presso la Sala polivalente del Centro interculturale Zonarelli del Comune di Bologna; evento organizzato dal gruppo Emilia Romagna dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (O.I.V.D.), associazione nazionale che si impegna sul tema delle violenze sulle donne con un taglio laico interreligioso (https://www.oivd.it ).
L’ attività e la produzione culturale di Stefano Ciccone, dell’associazione “Maschile Plurale”, ospite della serata, ha costituito il perno attorno a cui sono ruotate riflessioni, osservazioni, domande.
Dopo un minuto di silenzio in ricordo del femminicidio di Giulia Cecchettin, si è passato a un “minuto di parola”, per dare efficacia performativa a quella che, nel lessico femminista, è un’espressione cardine, ovvero “presa di parola”; sono state pronunciate parole tratte da un’intervista alla magistrata Paola Di Nicola, una delle più attive e lucide magistrate nel panorama italiano: «Sbagliato parlare di gelosia, è imposizione del potere maschile sulle donne». Se usiamo, infatti, il termine gelosia come movente della ferocia maschile, banalizziamo e oscuriamo la radice del sistema che alimenta questi crimini, che va ricercata nell’impianto strutturale che ordina l’organizzazione sociale: il contratto sessuale patriarcale. La sorella di Giulia, Elena, ha nominato con parole autorevoli la radice di tali crimini: essi sono frutto del patriarcato.
Il titolo dell’incontro è rivelatore del taglio con cui si è pensato di realizzare l’appuntamento. La questione deve essere rivolta al sesso/genere che quella violenza agisce: è lui che ha un compito storico, oggi più che mai: quello di mettere in discussione quella cultura che ha posto le premesse per le violenze. Si è ribadito un concetto decisivo. Non le individualità specifiche sono oggetto di tale messa in questione. Molti uomini reagiscono risentiti: loro non han mai “fatto del male” a nessuna donna, e con ciò dirottano la centralità del problema. Ciò che va posta a tema è quell’economia simbolica sessista che ci ha formato, che ci pervade con estrema capillarità, che regna invisibile e sfuggente; va posta in questione quella costruzione di identità maschili e femminili che plasma ogni soggetto, che interiorizza “spontaneamente” norme sociali inscritte in privilegi di un sesso: esse attribuiscono a maschi e femmine inclinazioni, ruoli, atteggiamenti o preferenze affatto “naturali”; su essi va svolto un immenso lavoro di decostruzione.
Ciccone è stato sottoposto a un tiro incrociato di domande da parte sia delle organizzatrici, sia del pubblico; ha raccolto la sfida rispondendo brillantemente a quesiti (anche spinosi come quello sulla prostituzione) e nodi tematici, declinando la materia con un approfondimento del tutto inusuale.
Le battutine pecorecce “innocenti” a sfondo misogino (“in fondo era solo una battuta!”) sono esemplari nel testimoniare i microgesti quotidiani di un sottotesto sessista/omofobo soggiacente. Non si tratta di applicare censure o di vigilare sul politicamente corretto; piuttosto si tratta di avere coscienza che tali miniepisodi sono la spia di un sotterraneo codice “d’onore virile” che agisce come disciplina discriminante: colloca il maschio nella primazia legittimata a inferiorizzare chi maschio ( o maschio eterosessuale) non è.
La trasformazione del soggetto uomo, innescata e auspicata dalla rivoluzione delle donne – è stato ripetuto più volte – spaventa gli uomini; ancora pochi decenni fa nel nostro diritto era contemplato lo ius corrigendi: il marito/padre era legittimato a percuotere moglie e figli, se lo riteneva opportuno. Il senso comune ha estirpato questa tirannia, gli equilibri sono cambiati erodendo il dominio maschile. Ma molti uomini interpretano “l’evaporazione del padre” nostalgicamente, dentro una cornice di decadenza e fallimento; la ferita narcisistica li sommerge, il fantasma della morte aleggia. E spesso anche quello della rivincita.
Qui sta uno dei nodi principali: la trasformazione che ci sta di fronte – dice Ciccone- non dovrebbe essere vissuta in un orizzonte di perdita: può invece preludere a interessanti prospettive nuove, faticose nel partorirsi ma foriere di processi virtuosi di evoluzione. Può essere occasione per abbattere quella gabbia simbolica che impedisce all’uomo di piangere in pubblico, che lo educa a una sessualità autistica ( dove regna l’imperativo della prestazione), ad una socialità con altri uomini tributaria di ossessione omofoba, ad esperienze alienate del corpo, vissuto più come strumento che come un Io che si dilata, in forme di libertà impensate.
La chiamata alla responsabilità, quindi, non è da intendersi come richiamo a un senso di colpa, e nemmeno si colloca in un quadro di discorso prescrittivo: le ingiunzioni costituirebbero solo i puntelli corazzati di un dover essere. Essa si dischiude invece nella assunzione coraggiosa della proposta trasformativa. L’uomo vecchio può metamorfosarsi nell’uomo nuovo.
E, aggiungiamo noi, ciò è in perfetta sintonia con le parole del maestro di Nazaret, il chicco deve morire per poter risorgere ad una nascita redenta nella fede.