Le lettere inviate a Pasolini per «essere» Gesù
Nella notte tra il 2 e i 3 novembre del 1975 l’assassinio di Pier Paolo Pasolini
Nella notte tra il 2 e il 3 novembre del 1975 moriva Pier Paolo Pasolini e la verità giudiziaria rimane ferma all’appello e alla sentenza del 4 dicembre 1976, che già allora indicava un unico colpevole: «Nel frattempo, nuove rivelazioni indicano una strada diversa, su cui ora dovrebbe esprimersi anche la procura. Nonostante alcune eclatanti novità, la verità giudiziaria sulla morte violenta di Pier Paolo Pasolini rimane ferma alla sentenza d’appello stilata il 4 dicembre 1976: unico responsabile Pino Pelosi, diciassettenne – scrivono i giudici – “rimorchiato” da Pasolini due ore prima del delitto”», ricorda in un bel servizio che ricostruisce le tappe delle indagini sino agli esiti attuali (sul quotidiano online de il Domani), Giovanni Giovannetti.
Pier Paolo Pasolini tutt’oggi è un autore di culto, anche per i più giovani. La sua è stata una vita fuori dagli schemi: per la forza delle sue argomentazioni, per il suo sprezzante anticonformismo, per la sua passione civile, per il suo amore per il cinema e per l’arte, per il disegno, per la sua militanza.
A quasi cinquant’anni dalla morte, Pasolini oggi è più vivo che mai, addirittura più nitido, ed è ancora capace di unire e di dividere quanto lo era allora, certamente capace ancora di appassionare coloro che ricordano il suo nome e la sua opera.
Infatti, di quel mondo perduto e degli amici che lo hanno frequentato, della società letteraria di cui egli ha fatto parte, c’è ancora chi non smette di ricordarlo e di raccontare quell’epoca, tre questi c’è Dacia Maraini nel libro dedicato all’amico poeta dal titolo: Caro Pier Paolo (Neri Pozza). Un libro capace di rievocare storie, amicizie grazie ad aneddoti e testimonianze.
Sono passati cinquant’anni però, da quando (era il dicembre del 1963) Pasolini decise di dar vita al suo film: Il Vangelo secondo Matteo.
Intervistato da un settimanale, dichiarò di «esser in cerca di un interprete per la parte del Cristo», descrivendone le caratteristiche fisiche richieste.
«Parte – ricorda la Repubblica –, che fu affidata allo studente spagnolo Enrique Irazoqui, poi doppiato da Enrico Maria Salerno.
Tuttavia, una parte di quella vicenda legata al film e mai raccontata oggi è invece disponibile, ossia sapere chi rispose alla richiesta di Pasolini per candidarsi a interpretare Gesù Cristo. «Ma con quali aspirazioni, convinzioni, quali paure?».
Domande alle quali si è data risposta grazie al documentario «Capelli quasi biondi, occhi quasi azzurri. Settantotto lettere a Pier Paolo Pasolini», un documentario trasmesso proprio ieri sera su Sky in occasione dell’anniversario della morte del poeta.
Le lettere inviate a Pasolini dai pretendenti al ruolo (usate dal programma), sono state recuperate da Mimmo Frassineti, autore del soggetto, insieme a Valentina Presti Danisi, per la sceneggiatura (il docufilm è stato selezionato per i Nastri D’Argento) di Donata Scalfari e la regia di Simona Risi.
Le lettere «rivelano molto di quei giovani che scrivevano a Pasolini, un manuale antropologico della mascolinità degli anni Sessanta», rileva lo psicanalista Vittorio Lingiardi, uno tra gli intervistati nel documentario e che, su la Repubblica, riporta alcuni incipit delle missive e del primo appello lanciato dal regista per il casting: «“Cercasi Cristo: non tanto alto, bruno col viso semitico, lo sguardo penetrante”. È il dicembre del 1963 – si ricorda –, e con queste parole Pier Paolo Pasolini in un’intervista al settimanale Le Ore, inizia a cercare l’attore per Il Vangelo secondo Matteo. Rispondono in tanti, dai 13 ai 60 anni: “Le invio una mia foto la prego di volermi scusare se sono però troppo brutto”; “Gentilissimo signor Pasolini mi deve scusare se io mi sono permesso di scriverle su un foglio di quaderno ma a quest’ora i negozi sono chiusi perché ormai sono le 11 di sera”; “Non per vantarmi ma ho degli occhi bellissimi”», ricorda Lingiardi.
«Sono state anche rintracciate le comparse scelte da Pasolini a Matera, dove fu girato il “Vangelo Secondo Matteo”: volti antichi, scavati, volti non borghesi, come era d’altronde lo stesso Pasolini», racconta il regista Marco Tullio Giordana, che nel docu-film guida lo spettatore dietro le quinte della pellicola.
Molte lettere (che partono dalla “candidatura” per poter interpretare Gesù), sono dunque una fotografia nitida di esperienze legate a una quotidianità fatta di difficoltà e di speranze. Insomma, sono lo specchio di una società diversa da quella attuale, una sorta di ritratto generazionale di tanti e tante giovani italiani degli anni Sessanta in cerca di un dialogo diretto (e talvolta ideale) con il poeta, romanziere, regista e intellettuale, Pier Paolo Pasolini.