Kitanovic (Kek): ripotenziare mediazione, riconciliazione e cooperazione
L’intervista alla Responsabile del programma advocacy e dialogo della Conferenza delle chiese europee (Kek), Elizabeta Kitanovic
L’intervista alla Responsabile del programma advocacy e dialogo della Conferenza delle chiese europee (Kek), Elizabeta Kitanovic.
In che modo sta vivendo, in questo momento, la comunità internazionale a Bruxelles e quali sono le principali questioni sociali?
Dal punto di vista geopolitico, tutti i tipi di conflitti in corso, dalla guerra Russia/Ucraina, alla ripresa del conflitto tra Armenia e Azerbaigian – con l’attuale disastro umanitario per 120.000 sfollati interni dal Nagorno-Karabakh/Artsakh –, al recente scoppio di una rinnovata guerra tra Israele e Hamas hanno una ricaduta sulla comunità internazionale che vive a Bruxelles. Due attacchi terroristici in Francia e Belgio sono gli effetti più recenti e visibili. Allo stesso tempo, le istituzioni dell’Unione Europea stanno cercando di destreggiarsi in questo panorama in continua evoluzione, ogni giorno sempre più complesso e imprevedibile. La cornice di riferimento è quella della duplice transizione dell’UE, verde e digitale, verso la resilienza e la sostenibilità. L’UE dovrebbe garantire che queste transizioni siano giuste e aspirino a una maggiore solidarietà. Al tempo stesso, si sta preparando per le prossime elezioni del 2024 e sta deliberando sul piano strategico, politico, giuridico, economico e sociale per i prossimi 5 anni.
Come lavorano la KEK e i rappresentanti cristiani sugli aspetti dell’integrazione e della stabilità sociale?
Il documento “Call and Witness”, adottato dal Governing Board nel 2021, è la guida strategica per la KEK verso il raggiungimento di una pace giusta, di un’integrazione basata sui diritti umani e sulla protezione dei luoghi di culto e del patrimonio culturale. Consideriamo questo come un fattore trainante per realizzare comunità religiose prospere, resilienti e sostenibili. La strategia è sostenuta dalle nostre chiese membro, che si sono riunite a Tallinn per l’Assemblea Generale lo scorso giugno. Il nuovo organo esecutivo, che si riunirà a Bruxelles a novembre, avrà all’ordine del giorno proprio le questioni relative all’implementazione di questo programma. L’obiettivo strategico principale che si sta sviluppando riguarda l’iniziativa “Pathways to peace/Percorsi di pace”, che mira a preparare l’Europa e le chiese europee alla fase postbellica in Ucraina.
Qual è lo stato dell’arte del progetto “Comunità più sicure e più forti in Europa” (Safer and Stronger Communities in Europe – SASCE)? Quali sono i risultati e le criticità?
Il progetto SASCE è nella fase finale. Abbiamo raggiunto i nostri obiettivi di creare una rete di ambasciatori, una procedura di segnalazione, incontri e formazione di leader religiosi, personale e fedeli sulla protezione della sicurezza dei luoghi di culto. Come KEK abbiamo raggiunto circa 113 chiese europee in 14 paesi dell’UE, organizzato 25 sessioni di formazione e 25 sessioni informative per le comunità cristiane e coinvolto 360 beneficiari diretti e, indirettamente, tramite i canali di comunicazione della KEK, moltissime altre persone e comunità.
Come si può interpretare, secondo lei, l’attacco di Bruxelles, alla luce della destabilizzazione di Gaza e di Israele?
Purtroppo, sembra che le situazioni critiche derivanti da atroci azioni da parte di “lupi solitari” possano continuare. Se noi, come società e comunità religiose, vogliamo evitare questi attacchi, è necessario un lavoro costante per trovare un equilibrio duraturo tra le politiche europee esterne ed interne. Questo comprende anche l’andare oltre il dialogo interreligioso, per stabilire una cooperazione interreligiosa autenticamente forte e credibile e un sostegno reciproco, rispettoso della pluralità e della diversità. Come società ci mancano la riflessività e una buona dose di autocritica, cose che ci impediscono di capire in anticipo le conseguenze dei nostri atti individuali e/o collettivi.
I numerosi conflitti in corso, dall’Ucraina al Nagorno-Karabakh fino al Medio Oriente, ci raccontano di un’umanità in pericolo. Siamo ancora capaci di mediazione, riconciliazione e cooperazione?
La mediazione, la riconciliazione e la cooperazione sono la sostanza stessa dell’esistenza umana e della vita umana, e necessitano di costante ringiovanimento, riaffermazione e potenziamento. Pertanto, tutte le persone, in ogni settore, ogni religione, ogni società, tutta la politica e le scienze dovrebbero sforzarsi al meglio per ringiovanire, riaffermare e ripotenziare la mediazione, la riconciliazione e la cooperazione, per salvare l’umanità dal grande pericolo in cui si trova ora, al fine di assicurare un futuro alle prossime generazioni e il benessere e la prosperità per tutti, senza lasciare indietro nessuno.
Da Nev-Notizie Evangeliche
Immagine tratta da una delle guide alla sicurezza del progetto SASCE