Il Nobel per la Pace Mukwege si candida alla presidenza del Congo
Il medico e pastore evangelico che ha curato decine di migliaia di donne vittime di stupri è un candidato autorevole in un quadro politico però troppo frammentato
Il premio Nobel per la Pace 2018, il medico congolese Denis Mukwege, ha rotto gli indugi e annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali della Repubblica Democratica del Congo, previste a dicembre.
Denis Mukwege, che nella sua vita ha operato decine di migliaia di donne, oltre 50 mila, vittime di violenze e stupri di guerra, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “l’uomo che ripara le donne”, è fra le poche voci che mai hanno cessato di urlare al mondo il dramma che sta vivendo il Congo, diviso e devastato da guerre tribali per il controllo delle tantissime materie prime.
Vittima a sua volta nel 2012 di un attentato in cui ha perso la vita la sua guardia del corpo e amico Joseph Bizimana, da alcuni anni affianca agli interventi sul campo una ampia campagna di informazione che lo vede ospite di vari consessi internazionali, tanto da vedere a più riprese riconosciuto il proprio impegno con l’assegnazione di vari premi fra i quali l’Olof Palme Prize, il premio diritti umani delle Nazioni Unite e il premio Sakharov consegnatoli nel 2014 dal Parlamento europeo.
Lo abbiamo potuto incontrare due volte. La prima a Windhoek, durante l’assemblea della Federazione Luterana Mondiale nel maggio del 2017, quando Mukwege, figlio di un pastore pentecostale e a sua volta pastore evangelico, fu autore di un profondo appello ai leader di chiesa presenti, puntando il dito contro le “teologie: «teologie che veicolano disprezzo e insulto e, di conseguenza, violenza contro le donne, andrebbero corrette e sostituite con una “teologia della stima delle donne”. Uscite dalle chiese, andate incontro alla gente e non voltate lo sguardo dall’altra parte».
La durante l’assemblea della Federazione Luterana Mondiale seconda pochi mesi dopo a Torino, quando ospite del Centro piemontese di studi africani si era in particolare soffermato sul legame fra stupri e controllo delle materie prime necessarie per la costruzione dei moderni apparecchi elettronici: «Io vi prego di informarvi. Abbiamo tutti fra le mani un cellulare e un computer. In qualità di consumatori avete tutto il diritto, e soprattutto il dovere, di sapere da dove provengono gli elementi che li compongono. Quale sia insomma la filiera che dalle materie prime porta al prodotto finale che acquistate nei negozi in Europa. Troppi di questi beni di larghissimo consumo sono macchiati di sangue. Il sangue delle guerre fratricide per il controllo delle miniere, il sangue di chi estrae i minerali necessari sotto le bastonate dei vari signori locali del terrore, il sangue di troppi innocenti vittime di battaglie per il predominio su un territorio».
Nel 1998, Mukwege inizia nel suo Paese la costruzione dell’ospedale per le donne vittime di violenza. Questo terribile atto viene usato come arma di terrore per troncare i legami delle comunità, ma anche come strumento di sterminio, quando volto a rendere sterili le vittime: «Una violenza sistematica, pianificata alla scopo di distruggere non solo le vittime dirette, ma le intere comunità nelle loro reti di relazioni sociali. Donne violentate e mutilate davanti allo sposo, ai figli, ai vicini di casa causano contraccolpi psicologici enormi, se possibile ancora peggiori dei drammatici danni fisici patiti dalle donne. Annichiliscono una comunità, la minano nel profondo e garantiscono il controllo a gruppi armati che gestiscono l’immenso business dell’estrazione del Coltan». La materia prima componente essenziale per la fabbricazione di cellulari e computer.
Una candidatura attesa e coraggiosa, annunciata dopo molti incontri pubblici e dopo che gruppi della società civile, associazioni femminili, organizzazioni locali e sindacati hanno consegnato un assegno con le donazioni pubbliche raccolte per sostenere Mukwege. Una grande popolarità dunque, ma esiste il rischio di una ulteriore frammentazione del quadro politico che si vuole opporre all’attuale Presidente, Félix Tshisekedi.
Focus on Africa – «la prima testata italiana di iniziativa editoriale pura dedicata al continente africano», ideata e fondata da Antonella Napoli – pone l’accento sul processo democratico avviato dal dottor Mukwege: «Dall’inizio del 2023, i suoi riferimenti a una “rivoluzione democratica” guidata dalla base si sono fatti più frequenti: una “rivoluzione”, secondo Mukwege, guidata da una popolazione mobilitata per votare in modo massiccio e che garantisca che i suoi voti siano rispettati».
Sul sito di Adista (il portale di informazione indipendente «su mondo cattolico e realtà religiose») vengono riportate anche le critiche e i dubbi sulla candidatura: vi si legge che Nigrizia, mensile dei Padri comboniani, commenta la candidatura del medico Nobel per la Pace in questo modo: «Le prossime settimane ci diranno se è una buona notizia. Perché, al netto della sua statura morale e del suo essere punto di riferimento per una parte dei congolesi, il dottor Mukwege si catapulta in una competizione che vede in campo protagonisti che dispongono di mezzi cospicui e di spalle politiche ben più larghe delle sue». La “variabile Mukwege” complica ulteriormente il quadro elettorale di coloro che si presentano come alternativa a Tshisekedi. E obbliga i maggiori protagonisti a trovare un accordo, specie in considerazione del fatto che lo scrutinio presidenziale è a un solo turno. Ma un accordo su una figura che maggiormente garantisca la possibilità di vincere prevede che qualcuno debba fare un passo indietro. Diversamente la discesa in campo del dottor Mukwege non fa altro che frammentare ulteriormente quello che si qualifica come il fronte del cambiamento».
Anche la rivista francese sull’Africa Jeune Afrique solleva dubbi simili: «Ormai lanciato nella corsa, il fondatore dell’ospedale Panzi dovrà rispondere ad alcune domande. La prima riguarderà il futuro della sua candidatura all’interno di un’opposizione che avanza in ordine sparso, visto che diversi pezzi grossi si sono già dichiarati» e probabilmente correranno da soli. «In questo contesto, il dialogo tra i diversi candidati sembra inevitabile se l’opposizione desidera avere influenza in un’elezione a turno unico».
Foto di Stefano Stranges