Fare memoria inclusiva a Lampedusa: spazi, luoghi, simboli
Nell’isola siciliana Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, promuove con altre realtà un incontro per ragionare sulla memoria di questo luogo anche simbolico
Un seminario sulla memoria, a dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013, in cui morirono 368 persone, a largo di Lampedusa. Lo organizza Mediterranean Hope, programmi migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, con la biblioteca dell’isola, l’Università La Sapienza di Roma, l’Archivio storico di Lampedusa. L’iniziativa si tiene oggi, venerdì 29 e domani sabato 30 settembre. Tra i relatori anche Daniele Garrone, presidente della Fcei, e il “pastore di frontiera” Randy Mayer, dagli Stati Uniti.
«In questi anni Lampedusa è diventato un simbolo internazionale della tragedia delle politiche migratorie – dichiara Paolo Naso, docente di Scienza politica alla Sapienza, referente per le relazioni istituzionale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei)– ed è diventato anche un luogo della memoria. Sono tante le persone che arrivano su quest’isola vive e ringraziano il Signore, purtroppo sono tante anche le persone che arrivano a Lampedusa morte.
Per le sue dimensioni e per la sua storia l’isola ha faticato a capire come costruire una memoria di questi eventi. Per questo un gruppo di studiosi si è messo insieme per cercare di ragionare su come fare memoria a Lampedusa, memoriali di quello con è ogni giorno con le centinaia, migliaia di persone che arrivano, memoria per quanti purtroppo vi arrivano morti, in un cimitero che per i suoi limiti e per la sua struttura, non riesce neanche a raccontare la loro storia, neanche a richiamare un simbolo religioso che non sia quello della tradizione cattolica maggioritaria in Italia. L’obiettivo di questo workshop, di questo primo incontro, è appunto quello di avviare un ragionamento, in cui ognuno metterà in campo le proprie competenze, esperienze, e la voglia di dialogare con la realtà viva dell’isola, con quanti sentono il bisogno di cercare anche simboli inclusivi, rappresentativi delle diverse storie che si vivono a Lampedusa».
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