Incontri valdesi con la realtà italiana fra 800 e 900
Il LXII Convegno della Società di Studi valdesi
Un’edizione un po’ diversa, quella del 62° Convegno della Società di Studi valdesi (Torre Pellice, 7-9 settembre): aleggiava infatti nell’Aula sinodale, l’attesa per le uscite dei quattro volumi della nuova Storia dei valdesi presso la Claudiana editrice. In particolare alcune relazioni si intrecciavano, per il coinvolgimento diretto di autori e autrici, con alcune sezioni del IV volume.
Il tema generale era peraltro ambizioso, per la grande quantità di implicazioni che riguardano «Incontri, dialoghi, alleanze. I Valdesi nel contesto religioso e politico tra Otto e Novecento». Non una stagione, ma una serie di stagioni, successive alla concessione dei diritti civili da parte di Carlo Alberto (1848), portano la minoranza valdese al centro di molti snodi dell’Italia che si andava costruendo: l’Italia del ‘48, fra i moti e l’uscita dal ghetto alpino, l’Italia dell’unità, quella della destra e poi della sinistra storica. L’Italia del Risorgimento e dell’anticlericalismo, delle leggi innovative (in particolare nel campo dell’istruzione) e della solidarietà (ecclesiastica, filantropica, massonica); l’Italia che vede il panorama religioso stretto fra potere temporale, aspirazioni all’innovazione e loro repressione, andando dal Modernismo ai provvedimenti prefettizi e legislativi improntati alla repressione, a maggior ragione nel ventennio della dittatura fascista.
Dall’inizio del periodo di riferimento (1848-1870) dunque, si mette in luce – ha detto il presidente della Società Gian Paolo Romagnani – «un mondo francofono che coniugava la fedeltà al regno sabaudo con la dimensione internazionale della Svizzera calvinista. Una società basata sul rigorismo morale, alfabetizzata prima di altri». Una grande sfida evangelistica, che avrebbe portato anche qualche esitazione: la stessa Torino, “porta” verso l’Italia, vedeva la compresenza dei Valdesi francofoni delle Valli e giunti dalla Svizzera, e degli evangelici del resto d’Italia.
Così alleanze e interazioni con il panorama evangelico del paese in costruzione si avvieranno a essere sempre più complesse: per esempio di fronte alla repressione, che toccava gli altri evangelici in maniera più pesante rispetto alla Chiesa valdese. Repressione che ebbe connotati e risvolti diversi: vi fu il momento in cui si reprimeva la spinta evangelistica per colpire in realtà le tensioni moderniste all’interno della Chiesa di Roma; vi fu la fase in cui i legami con l’internazionale protestante delineavano lo spauracchio di una non-italianità degli evangelici.
Non meno importante l’interazione con le altre fedi, di cui il legame con l’ebraismo italiano è quello più consolidato. Alberto Cavaglion l’ha ripercorso, non solo per l’affinità delle due minoranze a cui vennero concessi i diritti civili nel 1848, ma anche per le battaglie comuni, non sempre scontate, per la laicità, in particolare in ambito scolastico, anche se non si è più vista una stagione limpida come quella nettamente separatista del decennio cavouriano.
Il tema della libertà religiosa è stato quindi uno dei fili conduttori del convegno, anche a proposito del lungo percorso verso le Intese, affrontato da Roberto Mazzola. Più volte è stato ricordato come la Chiesa valdese, in particolare nella persona di Giorgio Peyrot, abbia aperto una strada con la stipula della prima Intesa, che poi ha fatto da modello per altre confessioni. Ma resta la domanda di fondo: ancora oggi esiste una prassi, ma non una normativa precisa che regoli il procedimento di adesione e attuazione delle singole Intese, non sarebbe meglio una legge generale sulla libertà religiosa (su cui però Peyrot era scettico)? Sono quasi venti, tra disegni e proposte di legge, i tentativi (falliti) di regolamentare la materia, è stato notato nel dibattito, e urge tenere alta l’attenzione perché i diritti non si traducano in privilegi. In realtà una forma non esclude l’altra in quanto, come ha ricordato Mazzola, oggi l’orientamento politico, a livello europeo, è di fare coesistere più strumenti.
Guardando dalla prospettiva «Incontri, dialoghi, alleanze», il richiamo al contesto internazionale è stato imprescindibile, anche quando si è parlato del rapporto tra le realtà protestanti italiane e altre: il mondo cattolico (in particolare la questione modernista), quello ebraico (in particolare nell’ottica del rapporto fra due minoranze), il liberalismo (teologico, ma anche politico e sociale)…
Parlando di dialogo ecumenico, Alberto Melloni ha sintetizzato la sua riflessione in tre parole (essere riconosciuti, riconoscere, riconoscersi) e altrettante generazioni, che hanno riguardato un po’ tutte le relazioni: quelli che hanno vissuto gli entusiasmi successivi all’Emancipazione, la generazione che matura sotto il fascismo e con la teologia barthiana, la generazione del dopoguerra (Agape, il Patto di Integrazione fra metodisti e valdesi, ma anche, per esempio, la denuncia della mafia in Sicilia).
Uno spazio rilevante è stato dedicato alla “crisi modernista”, che riguarda sì il modo cattolico romano, ma non senza riflessi anche sulle realtà protestanti. Oggetto della relazione di Giovanni Vian, il tema è ritornato in tutto il convegno. In particolare è stato ricordato il dibattito fra la convinzione che la Chiesa romana fosse irriformabile, e quindi l’invito ai modernisti a uscirne, contrapposta all’idea della necessità di una sua riforma dall’interno, a cui corrispose per esempio la diffusione da parte del Comitato di evangelizzazione di porzioni bibliche nel mondo cattolico. Anche all’interno del mondo evangelico tratteggiato da Pawel Gajewskiampliando l’orizzonte dal protestante storico, a quello “evangelicale”, delineando un quadro estremamente variegato, il rapporto non è stato privo di polarizzazioni e “disunificazioni”.
Alcune relazioni hanno avuto in effetti un taglio storico-teologico, affrontando tra le altre la questione della “teologia liberale”, altro tema che ha suscitato dibattito, e della sua influenza sulle realtà protestanti a cavallo del secolo, secondo una linea non sempre coerente, come evidenziato da Lothar Vogel, che ha ricordato il liberalismo quando si trattava di contrastare il cattolicesimo e i suoi dogmi, a fronte di un generale conservatorismo su altri fronti…
Nelle tre giornate si è colta l’eco delle recenti discussioni sinodali e pre-sinodali, dalla “Giornata Miegge” alla rievocazione del Sinodo del 1943 e dell’“ordine del giorno Subilia” .Complicatissimi, ma anche ampiamente dibattuti, gli intrecci con la politica e con la sinistra italiana. Sono risuonati nella relazione relativa ad Agape, ma anche nella bella serata dedicata ai 50 anni della trasmissione tv Protestantesimo. Agape, Riesi, Tullio Vinay, la Resistenza e la riconciliazione, il ‘68, la presenza e il ruolo forte delle donne nella Chiesa, la stagione che portò alle Intese. pezzi di vita della chiesa che ci fanno dire, con la conclusioni di Enzo Pace, che i Valdesi non si sono fatti trovare impreparati di fronte agli snodi più importanti della comunità nazionale. Ma oggi – ha concluso Debora Spini – dove passano le linee di frattura tra giustizia e ingiustizia, oppressione e dominio, che solo pochi decenni o anni fa parevano così chiare?