50 anni fa il golpe in Cile. L’impegno evangelico per l’accoglienza degli esuli

Dalla “Comune” di Cinisello Balsamo alla Svizzera: una incredibile vicenda di solidarietà e accoglienza

Santiago, 11 settembre 1973, ore 9.10: «Sicuramente questa è l’ultima occasione che avrò per rivolgermi a voi. […] Le mie parole non sono di amarezza, ma di disillusione. […] Trovandomi in un momento cruciale della storia, ripagherò con la vita la lealtà del popolo. E vi dico che ho la certezza che il seme che depositammo nella coscienza degna di migliaia di cileni, non potrà essere falciato via definitivamente. Hanno la forza, potranno abbatterci, ma i processi sociali non si arrestano né con il crimine, né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli».

Diffuse da Radio Magallanes sono le ultime frasi del presidente cileno Salvador Allende, asserragliato nel palazzo presidenziale cinto d’assedio dai militari guidati da Augusto Pinochet. Il colpo di Stato ha successo, l’esperimento di democrazia socialista viene stroncato nel sangue.

Anni dopo le carte confermerannociò che molti già sapevano: la regia dell’operazione era a Washington, nell’ambito della più generale “Operazione Condor” attraverso la quale gli Stati Uniti fecero in modo di instaurare dittature e governi autoritari in tutta l’America Latina, dove gli interessi economici delle aziende a stelle e strisce erano enormi.

Iniziano da subito gli arresti, le sparizioni e le violenze, indiscriminate e terribili, mentre le notizie di quanto sta avvenendo sconvolge il mondo. «Non temete coloro che uccidono il corpo» da Matteo 10:28 è il titolo dell’articolo di apertura de “L’Eco delle valli valdesi” datato 21 settembre 1973 che narra quanto sta accadendo in Cile, a firma del pastore Paolo Ricca. Lo stesso giornale ospita un comunicato di condanna del golpe redatto al Centro ecumenico Agape dai partecipanti al campo autunnale dedicato alle forze armate in Italia e all’obiezione di coscienza, («Le forze armate: per farne che cosa?»).

Iniziano i tentativi di fuga all’estero, in Europa via Argentina, di oppositori politici o presunti tali.

«Tutto iniziò con una telefonata ricevuta dal pastore Giorgio Bouchard da parte di Guido Rivoir, pastore valdese che viveva da anni a Lugano. Voleva sapere se avremmo potuto aiutare e accogliere esuli cileni in fuga, persone in estrema difficoltà la cui meta finale doveva essere proprio la Svizzera». A parlare è Marcella Giampiccoli, che con il marito Paolo Bogo è stata fra le anime di quell’esperimento di testimonianza cristiana e impegno politico che è stata la “comune” di via Montegrappa a Cinisello Balsamo, nell’hinterland milanese. Un gruppo di giovani evangelici che nel 1966, dopo una serie di studi biblici e di lavoro teorico sul significato della testimonianza decide di vivere un impegno sociale e di fede in concreta solidarietà con la classe operaia. La Chiesa valdese appoggia l’iniziativa e vi assegna un pastore, Bouchard per l’appunto.

«Ne discutemmo e decidemmo di impegnarci – prosegue Giampiccoli -. La questione era delicata e doveva rimanere estremamente riservata perché si trattava di donne e uomini in fuga senza documenti. I primi arrivati erano barricati dentro la “Comune” per non alimentare sospetti nel vicinato. Parlavamo in codice di pacchi da ritirare all’aeroporto. Ricevevamo una telefonata alcuni giorni prima che comunicava l’orario del loro arrivo . Portavano una busta gialla per farsi riconoscere e se ricordo bene noi una copia de “La Luce – L’Eco delle valli”».

Guido Rivoir (1901-2005), è residente a Lugano dal 1951 fino alla morte. Negli anni ’70 fu tra i promotori e sostenitori dell’“Azione posti liberi”, grazie alla quale centinaia di profughi cileni, da Milano vennero fatti varcare il confine con la Svizzera e accolti presso famiglie in Ticino. (Qui un video realizzato dalla giornalista Lucia Cuocci per la trasmissione svizzera “Segni dei tempi” per ricordare l’impegno del pastore Rivoir)

Come scriveva Giorgio Bouchard su La Beidana” n. 76 «Il governo elvetico, così generoso con ungheresi (1956) e cecoslovacchi (1969) non ha alcuna voglia di accoglierli: e così Rivoir ingaggia una storica battaglia con le autorità del Cantone e della Confederazione elvetica. Le autorità non decidono nulla, e così i rifugiati cileni saranno fatti entrare illegalmente; il cugino Roberto Malan, grande comandante partigiano, anticiperà le spese per i viaggi aerei, e i cileni partiranno da Buenos Aires grazie allo svizzero Rudolf Renfer, che è pastore in quella metropoli. Ma è difficile far «passare» questi esuli dagli aeroporti di Ginevra e Basilea, ed è inevitabile farli passare dagli aeroporti milanesi: molti cileni saranno via via accolti nel Centro «Jacopo Lombardini» di Cinisello e di lì instradati in qualche modo verso il Canton Ticino, dove si fermeranno a centinaia. […] Quasi vent’anni dopo, il primo presidente democratico del Cile attribuirà a Guido Rivoir un’alta onoreficenza e lo inviterà alla cerimonia del proprio insediamento». 

Alla fine dell’azione, nel 1976, i profughi cileni portati in Svizzera dall’associazione coordinata da Rivoir sarebbero stati 438 (393 avrebbero trovato asilo in Svizzera, i rimanenti in altri paesi).

«Furono anche molte famiglie del milanese, di Bergamo e poi delle valli valdesi del Piemonte (forte l’impegno del Gruppo Teatro Angrogna ad esempio) ad accogliere in casa per un periodo alcuni fra questi fuggitivi – ricorda Giampiccoli -. Una risposta di grande generosità da parte di tante persone». 

Alla “Comune”, dopo un naturale periodo di ambientamento e superamento dei traumi, tanti fra loro hanno voglia di parlare, di raccontare quanto vissuto. «Toti Rochat, instancabile, senza di lei non avremmo mai potuto affrontare questa mole di emozioni e oneri, rimaneva ad ascoltarli intere nottate, trascriveva le loro testimonianze e poi le traduceva». Elettrodi attaccati al corpo, finti annegamenti, roulette russe, stupri, i racconti si aprono all’orrore. Saranno raccolti in un libro, “Cile – carcere, tortura, esilio” edito in seguito dalla editrice Claudiana. Quando dalla Svizzera giungeva il segnale gli esuli venivano accompagnati alla frontiera e qui in qualche maniera aiutati a varcarla. «Aldo Visco Gilardi si impegnò tantissimo in questo coordinamento delicato e per questo è rimasto anche nel tempo in contatto con molti di loro» conclude Giampiccoli. «È stata un’esperienza incredibile, che ha cementato relazioni molto intense. Paolo ed io ad esempio nella nostra casa privata abbiamo ospitato una coppia in attesa di una figlia nata proprio durante la permanenza da noi». 

Bambina cui verrà dato il nome di Marcela Paz, in omaggio a chi aveva incontrato il prossimo e aveva aperto loro la porta.