Appartenere all’edificio del Signore

Un giorno una parola – commento a Romani 14, 19

Ascolta la meditazione:

Queste sono le cose che dovete fare; dite la verità ciascuno al suo prossimo; fate giustizia, nei vostri tribunali, secondo verità e per la pace

Zaccaria 8, 16

Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione

Romani 14, 19

Quando si arriva al tema delle libertà e dei diritti, le cose si complicano sempre.
Subito si smuove la faglia tettonica, inattiva ma presente, nelle comunità.

Si ristabiliscono le fila dei “forti”, cioè i “liberali”, quelli che sono aperti a riconoscere le nuove possibilità di libertà dell’evangelo, e dei “deboli”, cioè i “conservatori”, quelli che non vedono la necessità di incorporare ogni idea che nasca al di fuori della comunità.

Dal contesto sembra che l’apostolo Paolo si consideri ed appartenga al partito dei forti, ma che spalleggi e protegga quello dei deboli.
La questione sembra essere la stessa affrontata con i corinzi, cioè la liceità di mangiare le carni che sono state sacrificate agli idoli nei templi pagani, ma anche l’assunzione di cibi che, nella vita precedente alla conversione, o erano proibiti dalla legge dell’Antico Testamento, o erano consumati come parte delle liturgie pagane ormai abbandonate.
Paolo nei versetti precedenti affronta il problema dal punto di vista della coscienza del singolo, dal punto di vista della testimonianza pubblica e – qui – dal punto di vista della comunità. Riguardo la comunità, l’apostolo ha un solo punto di riferimento: l’edificazione.
Questa terza angolazione della visuale offre uno spunto in più che risulta interessante. Infatti, è sempre il forte che deve rinunciare davanti al debole (secondo il principio della kenosi di Cristo espresso in Fil. 2, 6-8 «umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte»), sollevando il pensiero che possa accadere che in questo modo non arrivi mai un momento in cui la comunità possa fare un passo in avanti nella sua comprensione del vangelo e che questa sia condannata a rimanere inchiodata alla sua comprensione consolidata. Ma, appunto, per quanto riguarda la comunità, Paolo aggiunge gli elementi del lavorare per la pace e della reciproca edificazione, ossia un principio che impegna tutta la comunità, forti e deboli, non semplicemente ad evitare frizioni e polemiche, ma ad attivare un positivo impegno verso una pace sempre più ampia e verso una crescita comune.
Si tratta non della ricerca della tranquillità, ma della ricerca di un positivo benessere comunitario che include l’intero ventaglio delle relazioni sociali e spirituali di cui la comunità è costituita. Appartenere all’edificio del Signore significa vivere come parte di quella costruzione, mutualmente dipendenti dalla grazia divina e mutualmente interdipendenti gli uni dagli altri. È con questo sforzo che l’edificio va innalzandosi, che la comunità cresce. Amen.