160 anni di Avventismo in Italia

. Intervista al pastore Davide Romano, fra storia e sfide dell’oggi

 

 In occasione dei 160 anni della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno e a pochi giorni dalla chiusura del Villa Aurora Meeting di Firenze abbiamo chiesto al pastore Davide Romano di rispondere ad alcune domande. Davide Romano è anche direttore della Facoltà di Teologia – Istituto Avventista Villa Aurora.

 

Come valuta l’andamento delle conferenze e delle attività svolte di questa settimana di lavori al Villa Aurora Meeting (VAM 2024 – Istituto Avventista Villa Aurora)? Quali sono stati i momenti più significativi?

Il Villa Aurora Meeting nasce appunto qui, presso l’Istituto avventista universitario di Firenze, cercando di cogliere la sfida di partire da temi tradizionalmente cari all’avventismo, rivisitandoli alla luce di una sensibilità nuova. Questa sensibilità matura all’interno dell’istituzione universitaria, ma anche nel dialogo e nel confronto con uomini e donne che provengono da altri ambiti, con esponenti di altre confessioni cristiane o di altre religioni, con persone appartenenti alla comunità filosofica o politica.

 

Utilizziamo un registro caro alla teologia evangelica, alla teologia avventista, ma desideriamo anche confrontarci con altri saperi e linguaggi. Quello della filosofia, appunto, della politica, ma anche quelli dell’economia e dell’arte.

 

Il tema è stato quello dell’apocalisse, tema indubbiamente della tradizione avventista, che ci dava l’opportunità di interrogarci sul significato degli eventi che stiamo vivendo tutti noi. Preoccupati per i destini di questo nostro pianeta, dove affiorano conflitti, crisi di vario tipo tra cui quella ambientale, abbiamo indagato il significato profondo dell’azione umana nella storia. Inoltre, il significato profondo della provvidenza di Dio nella storia. Una contaminazione dei saperi è stato l’elemento rappresentativo del meeting.

 

Ciascun sapere è chiamato a narrare, a svelare in qualche modo la storia a partire dal proprio punto di vista e dalle proprie domande. Alcuni Panel hanno rivelato un’affinità tra gli interrogativi che la teologia si pone e la necessità di una responsabilità nell’agire umano, in una sorta di intreccio di saperi e discorsi intorno ad un canovaccio che a mio avviso nasce dalla rivelazione della parola di Dio.

 

Siamo a 160 anni di presenza avventista in Europa e in Italia.

In effetti quest’anno ricordiamo il 160º anniversario della presenza avventista in Italia. Il primo missionario della missione avventista giunse nell’estate del 1864 nelle Valli valdesi e si chiamava Michael B. Czechowski ed era un ex francescano che negli Stati Uniti aveva conosciuto l’avventismo e vi aveva aderito. Dunque pensò di portare il messaggio avventista in quella che tradizionalmente era considerata la terra del papa… questo fu in realtà un pensiero che ebbero in quel decennio tra il 1850 e il 1860 anche altre minoranze evangeliche, che appunto giunsero in Italia attraverso missioni che venivano dall’estero.

 

Può raccontarci a grandi linee le tappe più importanti di questa storia che affonda le radici nel passato e continua a portare frutti nel presente?

Le tappe importanti sono almeno tre. La prima è una lunga tappa di inserimento nel tessuto sociale e culturale italiano. Questi missionari infatti giunsero parlando inglese e dovettero cimentarsi con una cultura che era molto diversa dalla loro e con un pregiudizio che era molto molto esteso nei confronti delle minoranze evangeliche. Non di rado andavano nelle Valli valdesi perché ritenevano di trovare un terreno amico, appunto in quella zona dell’Italia che era già stata evangelizzata dai valdesi. Questa prima tappa si estende fino al 1928.30 e vedrà una grande difficoltà dell’avventismo a radicarsi nel territorio italiano. Alcuni gruppi importanti sorsero a Luserna San Giovanni, in provincia di Torino, a Gravina in Puglia, a Napoli, a Roma, un po’ più tardi a Firenze. Con il tempo fiorirono nuclei in alcune città, ma parliamo di una consistenza numerica molto esigua.

 

Poi c’è il momento dell’ avventismo e delle altre minoranze evangeliche sotto il fascismo. Fu un periodo durissimo. Al termine della dittatura fascista la chiesa avventista comunque si ritrovò più solida che negli anni ‘20 e cominciò anche una crescita più consistente di adesioni.

 

Infine, c’è la grande tappa che inizia sul finire degli anni ‘60 e si sviluppa nei primi anni ’70, orientata finalmente a ottenere quello che l’articolo 8 della Costituzione prometteva, ovvero una intesa con la Repubblica italiana. Molti sforzi furono dedicati a questo, oltre a far conoscere lo stile di vita avventista e i suoi principi. Il coronamento avviene con l’intesa firmata nell’86, divenuta legge poi nell’88.

 

Dagli anni ’90 possiamo dire che la chiesa sta diventando sempre più multietnica e questo comporta indubbiamente delle sfide nuove sulle quali ci stiamo ancora misurando.

In che modo l’Istituto avventista di Villa Aurora sta contribuendo a costruire il futuro della comunità avventista? Ci sono nuove iniziative o progetti di cui ci può parlare?

L’istituto avventista nasce nel 1940 come istituto di formazione per i pastori che dovevano operare in Italia. Fino a quel momento, l’annuncio dell’evangelo avveniva soprattutto attraverso missionari che venivano perlopiù dall’estero. Nel 1947 fu acquistata un’antica struttura medievale appartenente alla famiglia Riccardi, appunto villa Aurora, dove poi l’istituto si trasferì dalla precedente sede.

Da allora il campus si è sviluppato e cresciuto ed è oggi un punto di riferimento per la formazione culturale avventista italiana ed europea, sotto certi aspetti.

Il contributo che l’Istituto dà è un contributo che nel tempo si è ulteriormente qualificato. Ormai da diversi anni l’Istituto universitario rilascia titoli riconosciuti dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

Alla formazione di pastori missionari e quadri della chiesa si aggiungono le molte esperienze di volontariato che fioriscono all’interno di questo campus, con studenti e volontari che vengono da molte parti del mondo. È stato poi istituito un Dipartimento di arte, lingue e cultura italiana, un fiore all’occhiello perché ci consente di mantenere un solido rapporto con le Università avventiste americane attraverso uno scambio di studenti che avviene da circa trent’anni e sono in continua crescita. Insomma, l’Istituto universitario avventista è il polo culturale e formativo che la chiesa avventista ha in Italia.

 

Come vede l’evoluzione del ruolo della chiesa avventista nel contesto della società contemporanea oggi?

Il ruolo che la chiesa avventista da sempre ritiene sia stato assegnato dal Signore è quello di annunciare l’evangelo in un tempo che è prossimo alla venuta dell’Amore di Dio. Ecco, questa dimensione escatologica è da sempre un contrassegno, che del resto è presente anche nel nome di questa chiesa, appunto l’attesa dell’avvento, l’attesa del ritorno del Signore. Questo spinge la chiesa a declinare l’annuncio del ritorno del Signore e l’annuncio della lieta notizia dell’evangelo, convinta di dover al tempo stesso fugare ogni paura dal mondo e annunciare una speranza che supera le capacità umane. Agire responsabilmente nella storia è importantissimo, ma appunto non saranno gli esseri umani con i loro sforzi, non saranno le chiese con il loro annuncio a salvare il mondo, ma sarà il Signore a salvare il mondo. Questo atteggiamento si esplicita anche nella promozione di uno stile di vita che sia coerente con un ideale di santificazione: vivere in un certo senso consapevoli di questa vocazione ricevuta e di questa chiamata verso la santità, anche nella storia quotidiana; questo è l’ideale che la chiesa avventista ha sempre provato a declinare, pur con tutte le contraddizioni che poi affiorano nella vicenda storica di ogni chiesa, compresa la nostra.

 

In che modo la chiesa avventista intende relazionarsi alle altre chiese cristiane e alle altre religioni in questo contesto storico caratterizzato da sempre maggiori interazioni, relazioni e multiculturalità?

Ci sono al riguardo esperienze diversificate. La chiesa avventista italiana ha una lunga tradizione di dialogo ecumenico, in particolare con le altre chiese evangeliche presenti in Italia, e la sua storia in Italia non potrebbe essere compresa se non si cogliesse anche la ricchezza di queste relazioni e con lo sviluppo, la sinergia che in molti casi è stato possibile avere con altre comunità di fede per forme di diaconia nella società, per interloquire con le autorità della Repubblica in vista dell’ottenimento della legge di intesa.

 

Dunque la chiesa avventista italiana ha una lunga tradizione di collaborazione e di dialogo all’insegna di un reciproco riconoscimento della vocazione che le chiese hanno ricevuto ad annunciare l’evangelo.

 

La chiesa avventista ha inoltre una dimensione mondiale e, nascendo negli Stati Uniti dove ad esempio il dialogo ecumenico è una realtà assai diversa di come appare in Europa, nella tradizione profonda dell’avventismo non c’è una particolare inclinazione al dialogo ecumenico. Spesso sono nate forme di dialogo intorno ad alcuni temi che erano cari alla sensibilità avventista, ad esempio quello della promozione della difesa della libertà religiosa. Possiamo dire che in tutti i tavoli in cui si promuove la libertà religiosa, ma si promuovono anche i diritti civili e politici, la chiesa avventista ha unito le proprie forze e le proprie idee con quelle di altre chiese e di altre religioni, per svolgere questo compito di stimolo affinché i diritti fossero rispettati, riconosciuti. Dunque il dialogo ecumenico e anche il dialogo interreligioso, spesso, su scala mondiale, è finalizzato alla promozione della persona, della libertà di religione e di culto e invece è un po’ meno praticato per una intima convinzione in ordine all’importanza del dialogo di per sé.