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Violenza contro le donne: denunciatele ad alta voce

«I media devono riconsiderare il loro approccio alla cronaca dedicata alla violenza di genere se desiderano diventare parte della soluzione a questo problema globale e persistente», ha affermato Sarah Macharia, responsabile del programma dell’Associazione mondiale cristiana per la comunicazione (Wacc) – sezione pari opportunità e di genere – e coordinatrice del Global Media Monitoring Project (GMMP).

Il più delle volte, «i mezzi di informazione ostacolano o minimizzano i femminicidi e le aggressioni, questo non aiuta a combattere la violenza di genere», ha proseguito Macharia in occasione del seminario tenutosi lo scorso 16 giugno presso il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), riunitosi in preparazione della sua 11a Assemblea che si terrà dal 31 agosto all’8 settembre 2022. 

Anche Nicole Ashwood, dirigente del programma Just Community of Women and Men, ha partecipato ai «Giovedì in nero», sostenendo la Campagna avviata dal Cec come forma di protesta pacifica contro la violenza e lo stupro.

Il seminario si è tenuto nell’ambito delle azioni congiunte tra Wacc e Cec, nate per «costruire una coalizione ecumenica attiva a difesa dei diritti umani e di azione per promuovere un ambiente mediatico più equo, più sostenibile e inclusivo per ragazze, donne e gruppi emarginati».

Non dire nulla sulla mascolinità violenta e la misoginia, tralasciando le prospettive delle donne e trattando il tema come «incidenti isolati, modelli di un sistema, di culture ataviche ereditate che sostengono questo tipo di violenza, come se fosse tutto naturale, non è normale!».

Macharia, infatti, sottolineato quanto «i media siano attori attivi nel plasmare l’opinione pubblica e le prospettive. I media spinti nel loro impegno dalla fede – ha aggiunto – dovrebbero aiutare a comprendere e interpretare le violenze rispondendo attraverso la luce della fede».

Macharia, poi, ha citato un esempio: come, senza un contesto adeguato, le notizie dedicate alle violenze sulle donne possano essere viste come “comuni atti di violenza” e non come prodotti reiterati per via di un sistema sociale, culturale e politico sbagliato. 

Lo scorso 25 maggio tra le notizie che hanno fatto il giro del mondo c’erano la sparatoria nella scuola in Texas; una donna anziana in India picchiata a morte da suo figlio; il persistere dell’assalto della Russia all’Ucraina. 

«Un lettore, un ascoltatore acritico, potrebbe pensare che l’unico legame comune tra queste storie sia la violenza mortale. In realtà, ve ne sono almeno altri due. Il secondo filo che intreccia questi tragici fatti è la cultura della mascolinità pervasiva nella maggior parte delle società del mondo – ha proseguito –. La ricerca indica che storicamente, il 98% degli autori di sparatorie di massa negli Stati Uniti si identifica come maschio; la guerra è stata condotta quasi esclusivamente da uomini con poche eccezioni. Le uccisioni di donne e ragazze sono commesse principalmente da uomini. Solo il 2% dei resoconti di guerra si concentra sul tema delle donne, eppure le prove indicano forti differenze di genere nelle esperienze di guerra».

Il terzo «è il modello di cecità di genere esercitato nei media,  che spesso riferiscono di questi e altri crimini violenti non nel modo adeguato», come dimostra il Global Media Monitoring Project della Wacc.

Una cecità di genere, ha affermato Macharia, che «mostra quanto le donne siano invisibili tra le notizie dedicate ad esempio alla guerra». Come è possibile elevare lo standard del giornalismo professionale per allinearlo alle aspirazioni di metà del pubblico, che invece desidera e ha il diritto di vivere una vita libera dalla violenza? 

Alcuni suggerimenti sono utili: «Inquadra la violenza usando un linguaggio accurato. Ad esempio, lo stupro non è mai sesso né è una «relazione instabile»; è un crimine violento con conseguenze giudiziarie. Non contribuire a opinioni sessiste: non suggerire, in alcun modo, che la colpa fosse della sopravvissuta. Sfida i falsi miti, la retorica, facendo ricerche approfondite per fornire alla storia che si sta per raccontare la base fattuale e il contesto adeguati per educare il pubblico alla realtà. Racconta tutta la storia senza infingimenti». 

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Foto: Protesta contro le aggressioni sessuali, centro di Montreal, 2020. Foto di Mélodie Descoubes