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Uomini che amano le donne: Rosino Gibellini

«Un giorno – credo nel 2011, ma non sono certa – alla Cittadella di Assisi, non sapendo dove sedermi per il pranzo, mi trovai a tavola con un signore distinto e attempato con modi da fare di altri tempi. Un vero gentleman, insomma, che si presentò come Rosino e col quale (superfluo dirlo) conversai di gran gusto».

Queste parole di Elizabeth Green, teologa e pastora battista, mi hanno spinto a comporre un ricordo di p. Rosino Gibellini che, in qualche modo, rispecchiasse la sua costante ricerca di dare voce all’inedito. Ho chiesto allora ad Alberto Dal Maso, redattore della casa editrice Queriniana, e alla stessa Green di fare memoria insieme di questo intellettuale, che ha reso grande la teologia italiana, “raccontandolo”. E, soprattutto, facendo capire perché noi teologhe italiane proviamo nei suoi confronti una grande gratitudine.

In tanti abbiamo avuto modo di incrociare Gibellini, di percepirne la qualità umana e intellettuale, ma avere con lui un rapporto professionale, lavorare gomito a gomito sugli stessi progetti, pur con ruoli diversi è un’altra cosa…

ADM: «Sono stato assunto in Queriniana nel 1998. Sicché ho conosciuto il Gibellini ultrasettantenne, quello più riflessivo, meditabondo. Non il giovanotto che in qualche foto in bianco e nero si vede sbucare da dietro Karl Barth, non il personaggio in una istantanea che affianca Karl Rahner, intrattenendolo in un confronto a tu per tu. Non il cinquantenne che, nel 1979, partecipa alla conferenza del CELAM a Puebla insieme a p. Bartolomeo Sorge. No: davanti ai miei occhi è comparso il Rosino della maturità. “Io c’ero”. Certo: dietro la sua chioma canuta e disordinata indovinavi a volte il sessantottino, dietro certe impuntature nervose potevi scorgere le zampate del fiero leone che era stato. Ma poi, col passare degli anni, quella figura è impercettibilmente sfumata nell’anziano saggio, rallentato nei movimenti. Alla fine, senza troppo darlo a vedere, più rassegnato di fronte allo scorrere inesorabile del tempo».

Noi teologhe femministe abbiamo sempre avuto uno spiccato senso per l’importanza della genealogia, siamo attente a riconoscere coloro che hanno aperto la strada, ci hanno precedute e ci hanno sostenute e possiamo dire che Gibellini è parte integrante della nostra biografia collettiva di teologhe. 

EG: «Come in qualche genealogia della Bibbia, di solito tutte al maschile, spunta a volte il nome di qualche donna, anche nelle loro genealogie intellettuali che le donne si affaticano a ricostruire, spunta il nome di qualche uomo. Rosino Gibellini è uno di loro. Dobbiamo alla sua lungimiranza e alla sua apertura di mente che, pochi anni dopo la loro pubblicazione all’estero, siano approdate in Italia le prime opere dell’allora nascente teologia femminista. Scelte oculate le sue in quanto un’antologia come quella curata da lui insieme a Mary Hunt, La sfida del femminismo alla teologia(1980) riporta alcuni saggi fondamentali per la riflessione femminista ancora – dobbiamo dire purtroppo – attuali. Il libro della teologa protestante Letty Russell, Teologia femminista (1977), la metteva in relazione con la teologia della liberazione, altro filone che Gibellini si affrettava a pubblicare nonostante non fosse del tutto gradito alle gerarchie ecclesiastiche».

ADM: «Sì, ammirava e apprezzava con grande rispetto e curiosità l’operato delle donne, le loro lotte. E questo, all’epoca, richiedeva coraggio: era una scommessa per nulla vincente, aveva elementi di innovazione al limite dello scandaloso». 

EG: «La teologia femminista e chi la esercita non ha vita facile in nessun paese, e l’Italia non fa certamente eccezione. Rosino Gibellini ha capito che la grande storia del pensiero teologico è fatta da figure di primo piano, ma anche da filoni che sono andati crescendo all’interno della vita. Per questo, nel suo monumentale Teologia del XX secolo (1992), non tralascia di dedicare un capitolo alla teologia femminista, tema che verrà di nuovo proposto nello sguardo che getta in Prospettive teologiche per il XXI secolo (2003) sul millennio appena iniziato. Né si può dimenticare il suo impegno nella pubblicazione della rivista Concilium che ci ha fatto conoscere voci piccole e grandi della teologia internazionale sui temi più disparati, incluso, per molto tempo, la teologia femminista nelle sue molteplici sfumature».

ADM: «D’altra parte, Gibellini poteva contare su una curiosità sconfinata, a 360 gradi e su una memoria di ferro, prodigiosa. Mitici i suoi taccuini, sempre pronti nella tasca della giacca, con cui prendeva appunti in ogni occasione. Era assetato di conoscere la visione del mondo altrui, sempre avido di confronto e di sperimentare nuove prospettive, che gli facevano provare gioia e stupore. Adorava anche viaggiare fuori dai confini nazionali, conoscere nuove culture, muoversi come un libero battitore, incontrare gente originale, sbirciare nelle loro librerie e nelle loro biblioteche, assaporare la buona tavola e il buon vino dei Paesi che visitava». 

E, tornato in Italia, si sforzava di spalancare le finestre e far cambiare aria, sprovincializzando il nostro piccolo mondo antico. Si interpretava forse come un ponte, fra noi e il resto del mondo.

ADM: «Si teneva costantemente aggiornato sulle ultime tendenze. Aveva uno sguardo aperto sulle cose, ecumenico: sapeva ragionare da cosmopolita. Questo suo respiro universale lo portava a relativizzare molte piccole beghe di casa nostra, evitando di cadere in facili provincialismi». 

Ma il suo assoluto erano certamente i libri e, forse, la sua prima ragione di vita….

ADM: «Con i libri aveva un rapporto fisico, magnetico, prima ancora che intellettuale; oserei dire un rapporto sensuale: “I libri per me sono come le donne per gli uomini: quelli belli è difficile che mi lascino indifferente. Anzi: non me li lascio sfuggire!”. Quando aveva investito su un particolare progetto e ne era convinto al massimo, non riusciva a trattenere una urgenza, una certa impazienza. Perché amava quel precipitato di cultura e di teologia che si condensava nei libri».

Le volte che ho avuto occasione di parlarci ho percepito con estrema chiarezza che per lui il lavoro teologico non era mai neutrale, mai anonimo né rarefatto. Avrei quasi voglia di dire che per lui la teologia non poteva che essere militante. 

ADM: «Aveva un tratto sovversivo: a suo tempo fece delle battaglie perché “Dopo la Rivoluzione francese non è più possibile che uno si chiami superiore di altri: non ci sono sudditi, sottoposti. Tanto meno in un ordine religioso’. Era un teologo di parte, ma rispettava l’altra linea di pensiero. Rivendicava di aver edito Infallibile? tanto quanto Il complesso antiromano. Meditabondo, taciturno, solo alla fine arrivava – sicura – la decisione. Rifletteva fra sé e sé, silenzioso, a fondo. Poi a un certo punto, anche a distanza di giorni, lo vedevi illuminarsi: un guizzo negli occhi, un bagliore scintillante». 

La morte ci impone, però, di prendere congedo…

EG: «Saluto allora p. Gibellini con affetto e riconoscenza per ciò che coraggiosamente ha fatto sperando che altri e altre porteranno il testimone che ci ha lasciato».

ADM: «Non sarà facile continuare sulle sue orme. Serviranno coraggio e visione: come li ha mostrati lui, ma interpretati da noi, per il nostro tempo. Questo però è il momento della gratitudine nel ricordo. Perché è stata una grazia, un dono, averlo avuto come mentore. E tutto questo, adesso, viene avvolto da una nebbia fitta di nostalgia». 

Il testo è stato condiviso anche sul blog Munera di www.cittadellaeditrice.com