cam_0042

Un’«aristocrazia della moralità» fondata sulla Bibbia

Coeva della Rivoluzione russa, nel 1917 (l’anno, fra l’altro, in cui muore Francesco Giuseppe) nasceva a Debrecen Magda Szabó il traduttore il traduttore, massima scrittrice di lingua ungherese, scomparsa nel 2007 e da una dozzina di anni nota al pubblico italiano per le traduzioni che dei suoi romanzi sono state fatte da Einaudi e dalla casa editrice Anfora, specializzata proprio in letteratura magiara. In questo anno del centenario, in particolare, Anfora ha pubblicato Affresco, una delle due opere dell’esordio narrativo dell’autrice (il 1958, l’altro libro è Ditelo a Sofia), che aveva dapprima percorso i terreni della poesia.

Magda Szabó non fu una dissidente, anzi fu funzionaria del ministero dell’Istruzione, ma nel periodo del regime comunista fu lontano dall’intellighenzia culturale (o forse vi si tenne volutamente), poco conosciuta nell’Europa occidentale, finché in Germania fu Hermann Hesse a farla tradurre. In Italia nel 1964 Feltrinelli pubblicò L’altra Ester, poi riedito da Einaudi nel 2009.

Affresco non è la sua opera più interessante ma è significativa dell’ambiente in cui la scrittrice è cresciuta e si è formata. Debrecen è infatti la seconda città d’Ungheria, culla della presenza riformata. Il Collegio riformato, di cui Magda Szabó è stata la studente più famosa, ha una sorta di gemellaggio ideale con il Liceo valdese di Torre Pellice. E l’identità protestante della scrittrice scaturisce fin dalle prime pagine di questo singolare romanzo, tutto incentrato, in una sola giornata, nelle ore che precedono il funerale della madre della protagonista. Con una serie di avanti e indietro nel tempo, fra rievocazioni dell’infanzia e aspettative frustrate, vien fuori il portato di saldezza di principi, ma anche di ottusa violenza, del padre pastore: il senso della fiducia nel Signore è esplicitato dal versetto scelto per l’annuncio mortuario della defunta (Romani 14, 8: «se viviamo, viviamo per il Signore….»); una nota non chiarissima illustra la differenza di concezione tra la confessione auricolare al sacerdote rispetto a quella in atto nelle chiese della Riforma. Momenti di paura, vissuti dai protagonisti, trovano un contraltare in un’altra classica espressione della fede e della pietà personale: «Non temere, solo abbi fede» (Marco 5, 36); il Signore, si dice, si sarebbe preso cura di uno di loro, come fa con il giglio del campo (Matteo 6, 28).

Ma è senz’altro La porta, tradotto da Einaudi nel 2005 per opera di Bruno Ventavoli, attualmente responsabile del supplemento Tuttolibri del quotidiano La Stampa, ad aver fatto conoscere il nome di Magda Szabó ai lettori italiani: libro notevolissimo, colloca anch’esso, nelle primissime pagine, proprio una «confessione di peccato»; la narrazione poi ruota intorno alla vecchia Emerenc, governante e portinaia in un gran numero di case più o meno illustri. Tutto, per questa arcigna signorina, è polvere e tornerà a essere polvere, secondo una fede forte ma anche una saldezza di principi morali che continueranno dopo di lei.

All’epoca dell’uscita del romanzo Riforma aveva intervistato il suo traduttore. Bruno Ventavoli faceva riferimento a una caratteristica molto «ungherese», e comune, per fare un esempio molto noto anche in Italia, a Sandor Márai (tradotto da Adelphi): si può parlare, diceva il traduttore «di “caparbietà della solitudine”, una particolare attitudine alla libertà dello spirito, che viene perseguita restando in un certo isolamento», che permette di dare alla storia un valore universale, facendosi attraversare da eventi di grossa rilevanza: «in Ungheria ogni 10 anni – proseguiva – ci sono stati avvenimenti di portata pari alla nostra Resistenza, fra rivoluzioni fallite, occupazioni, tragedie nazionali. Dopo la prima guerra mondiale, persa e non per colpa sua ma per fedeltà agli Asburgo, l’Ungheria è stata ridotta a un terzo del proprio territorio». Due milioni e mezzo di abitanti (su un totale di dieci) furono buttati fuori e trattati malissimo, in Cecoslovacchia, Serbia o in Romania: «la perdita di un territorio come quello della Transilvania sarebbe equivalente, per noi, alla rinuncia al Piemonte o all’Emilia».

Di fronte a tutto ciò, possiamo dire con Emerenc e con Magda Szabó, come ribadiva Bruno Ventavoli, che «la Storia con la maiuscola è certo imprescindibile, ma chi riesce ad avere una propria forza interiore riesce a limitare i danni, in una sorta di “aristocrazia della moralità”». A cui concorrono certo la storia di una minoranza religiosa (oggi messa alla prova dalle pessime prove dell’atteggiamento verso profughi e migranti) e la frequentazione della Bibbia. Lo dimostra anche lo stile linguistico che, dice il suo traduttore, riecheggia quello delle narrazioni orali, comprese quelle bibliche.