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Suicidio assistito: è dibattito anche nel Regno Unito

L’Italia non è l’unico paese a discutere in queste settimane sul tema dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Tre importanti leader religiosi, Justin Welby, arcivescovo anglicano di Canterbury, Ephraim Mirvis, rabbino capo e il cardinale cattolico Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster (presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles), hanno firmato una dichiarazione congiunta diffusa ieri in cui hanno messo in guardia sui rischi, soprattutto per le persone vulnerabili, della proposta di legge sulla morte assistita (Assisted Dying Bill), che domani sarà in discussione alla Camera dei Lord, in seconda lettura. Siamo quindi solo al secondo passaggio di un iter lungo, che dovrà essere replicato anche nella Camera dei Comuni, e non è certo il primo tentativo: precedenti Assisted Dying Bill” erano stati presentati senza successo nel 2014, 2015, 2016 e 2020, per citare solo il dibattito più recente.

Eppure il problema è reale, la campagna “Dignity in Dying” stima che ogni anno tra 300 e 650 malati terminali britannici pongono fine alle loro vite (il 5-10% dei suicidi totali nel Regno Unito), ma i tentativi di suicidio sarebbero 10-20 volte superiori, mentre alcune decine di persone compiono il loro “ultimo viaggio” verso la Svizzera.

La proposta di legge presentata dalla baronessa Molly Meacher intende legalizzare il suicidio assistito, tramite appositi medicinali, per i malati terminali adulti con un’aspettativa di vita inferiore ai sei mesi (la legge non si applicherebbe quindi alle malattie croniche e disabilità gravi) e nel pieno possesso delle loro facoltà mentali: si parla di «desiderio volontario, chiaro, stabile e informato». Due medici, quello scelto dal paziente per l’accompagnamento alla morte e un secondo medico indipendente, e un giudice dell’Alta Corte, dovrebbero appurare che il paziente sia giunto a tale decisione autonomamente, liberamente e senza coercizione.

Ma, come si diceva, questa proposta fa discutere: tre dei principali leader religiosi inglesi avvertono con «profonda inquietudine» sui pericoli dell’applicazione di questa legge nella «vita reale», spesso caratterizzata da «inadeguatezze pratiche», che renderebbero vano l’intento pur lodevole della baronessa Meacher che è quello (ricordano i firmatari) di «alleviare le sofferenza»: una motivazione che essi condividono «con tutto il cuore», ma sulla cui realizzazione, e sui “mezzi” per arrivarvi, sono invece in disaccordo.

Le fedi che essi rappresentano considerano «ogni vita umana un dono prezioso del Creatore, da sostenere e proteggere», ma anche chi non è credente (scrivono) può condividere la loro preoccupazione che «il bene comune non è servito da politiche o azioni che metterebbero moltissime persone vulnerabili in posizioni ancora più vulnerabili».

Per questo motivo fanno appello alle persone «di qualunque fede o credo» affinché si uniscano a loro attraverso il «comune legame di umanità nel prendersi cura delle persone più vulnerabili della nostra società. In contrasto con le proposte di questo disegno di legge, continuiamo a chiedere misure che rendano disponibili per tutti, alla fine della loro vita, cure palliative di alta qualità». E concludono: «Crediamo che l’obiettivo di una società compassionevole dovrebbe essere una vita assistita piuttosto che l’accettazione del suicidio assistito».

All’interno dello stesso ambiente medico i pareri sono discordanti, l’Associazione medica britannica (British Medical Association) ha affermato una posizione di neutralità, mentre la baronessa Ilora Finlay, docente di Medicina Palliativa e membro della Camera dei Lord, ha già dichiarato il proprio voto contrario, rilevando la preoccupazione per i rischi di coercizione e di un uso spregiudicato della normativa da parte dei medici stessi.