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Ospiti sulla terra dei viventi

Terza giornata di lavori per la sessione estiva di formazione del Sae, il Segretariato attività ecumeniche.

Alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli continuano i lavori della sessione di formazione ecumenica del Sae tra relazioni in plenaria, laboratori e liturgie. La giornata di martedì dedicata a “un creato bello e fragile” è stata ricapitolata nell’Eucarestia all’aperto presieduta da don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei. «Sono commosso ed emozionato nello stare in mezzo a voi; mai avrei pensato di presiedere l’Eucarestia a una sessione del Sae» ha detto nell’omelia. Commentando dal Vangelo di Luca il brano della visita di Maria ad Elisabetta, avvenuta tra due annunci e una nascita, don Savina ha detto: «L’esperienza del Sae sta nella Chiesa come l’esperienza gravida di un qualcosa che non dipende da te e che sconvolge la tua vita. Questo è un luogo gravido dove lo Spirito è in azione e dove prende un corpo che sta tra gli annunci e la nascita». In questo terreno di passaggio che apre a un tempo nuovo «c’è tutta la storia dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, qui ci stanno dentro tutti i documenti scritti e firmati e quelli ancora sospesi. questo è un passaggio straordinario, ma chi lo sopporta? Perché questa cosa va sopportata e supportata». Ecco allora l’incoraggiamento di chi è delegato a sostenere la realtà dell’ecumenismo nelle diocesi italiane: «Il Sae ha veramente un compito straordinario dello Spirito e questo seme non può essere disperso, ma chiede a tutti una coerenza e responsabilità straordinaria. I tempi sono quelli di Dio, e l’unità innanzitutto è il suo desiderio prima di essere il nostro».

Il percorso attraverso il rapporto tra Chiese e povertà è proseguito mercoledì con la giornata dedicata al sotto-tema “ospiti sulla terra dei viventi”, aperta dall’intervento biblico di Amedeo Spagnoletto, rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze, alla sua prima volta a una sessione del Segretariato attività ecumeniche. La sua comunicazione, che ha rappresentato un brillante esempio di ermeneutica ebraica, ha preso le mosse dal versetto di Levitico 25,23: “La terra è mia – dice il Signore – e voi siete presso di me come forestieri (gherim) e residenti (toshavim)”. Nella visione ebraica prima del rapporto con Dio è fondamentale avere un buon rapporto tra gli esseri umani e nel creato. Questo si inquadra nella condizione di stranierità di ogni essere vivente che è ospite del mondo creato da Dio e quindi non può vantare privilegi di sorta a scapito del prossimo che gli sta accanto. La proprietà della terra da parte di Dio è la garanzia che ci sia spazio per tutti. L’anno sabbatico, la cui istituzione è ricordata in Levitico 13, è l’emblema di questo rapporto tra l’essere umano e il creato, è il ritorno al proprietario originario. «Il Giubileo è un precetto non ostico perché il popolo sa in partenza che la terra è di Dio e quindi va redistribuita nel 50° anno. Occorre che facciamo un lavoro su noi stessi per capire che siamo tasselli di un mosaico più grande di noi» ha ricordato Spagnoletto.

All’esigenza di un diverso rapporto degli esseri umani con i beni della terra ha richiamato anche don Bruno Bignami, direttore dell’ufficio nazionale dei problemi sociali e del lavoro della Cei, nella sua relazione sulla “Povertà come non solo mancanza di denaro, ma di energia, acqua e aria…”. Oggi siamo di fronte a “fabbriche della povertà”. Invece di diminuire, come auspicato dalle agenzie internazionali dell’Onu, dal 2015 la fame e la povertà nel mondo sono cresciute. Non si tratta della mancanza di cibo: la causa è l’esclusione sociale, di cui le donne sono le maggiori vittime. Le speculazioni finanziarie, che toccano anche i beni di prima necessità, sono una parte del problema. Anche nel campo del lavoro siamo di fronte allo sfruttamento, alla mancanza di sicurezza, alla vulnerabilità. Mentre l’economia rende accessibili smartphone e slot non garantisce a tutti l’accesso al cibo, all’acqua, alla sanità, alla scolarizzazione. «Di fronte al fallimento di un modello economico consumistico occorre acquisire una nuova mentalità, occorre parlare in termini di comunità» ha detto don Bignami. Ascoltare, guardare, sono gli atteggiamenti che possono favorire l’inclusione in un mondo che esclude. E’ un problema anche delle comunità cristiane – ha continuato il relatore – che hanno bisogno di riconciliarsi su un principio fondativo dell’insegnamento sociale della Chiesa che è la destinazione universale dei beni. Sulla quale c’è una lunga tradizione che parte dal Vangelo, dalle lettere apostoliche, arriva alla tradizione patristica (S. Ambrogio, S. Tommaso), ha un riferimento in don Primo Mazzolari (La rivoluzione cristiana), è presente nel Concilio Vaticano II (Gaudium et spes 69) ed è rilanciata da Francesco nell’enciclica Laudato si’: «Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e “il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale (LS 93)». Il direttore dell’ufficio nazionale dei problemi sociali e del lavoro della Cei ha citato passi dell’Evangelii gaudium che già danno conto di questa visione della questione povertà. Il problema non è la mancanza di cibo, ma lo spreco e la cattiva distribuzione di cibo e reddito, come hanno detto i vescovi brasiliani citati nell’Esortazione (EG 191). L’intento del papa è una liberazione dall’ideologia del privato «per uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra (EG 208)». Le persone hanno bisogno di sapere che è meglio vivere nella logica della condivisione che nel consumo egoistico dei beni, ha commentato Bignami. Per questo occorre recuperare il significato dei beni comuni – la terra, l’acqua, l’aria, l’energia – che non sono solo una realtà fisica quantificabile ma costituiscono un fattore di relazionalità. Ogni essere vivente ha una relazione costitutiva con i beni di carattere gratuito. «Nel latte materno – ha esemplificato – abbiamo ricevuto cibo, bevanda, energia, ma soprattutto relazione gratuita. Il seno non è solo nutrimento. E’ affetto, attenzione, prossimità, fiducia, amore. La fiducia del vivere dipende dall’aver ricevuto dei beni che ci hanno mantenuto in vita. Se per mangiare dobbiamo sgomitare o rubare, qualcosa nel sistema non funziona». Oggi i beni comuni sono traditi: land grabbing in vaste aree del pianeta, esclusione all’accesso all’acqua potabile per centinaia di milioni di persone, inquinamento dell’aria, apartheid climatico.

Secondo il relatore alla base di tutto c’è “un’ossessione dell’io” e “un’ossessione del noi” – un “comunitarismo endogamico” – che riguarda anche il mondo cattolico. La Laudato si’ mette in questione questo “antropocentrismo dispotico”. La società dei consumi fabbrica falsi bisogni le cui conseguenze sono una globalizzazione distruttiva, la perdita del senso del limite, un’economia dello spreco, un meccanismo mimetico che fa desiderare ciò che gli altri desiderano, e la fine della disponibilità delle risorse. Di fronte a questo quadro, dentro questo quadro, occorre ripensare il modello di comunità e i rapporti fondativi del nostro esistere, ha concluso Bignami.

Dopo i lavori nei laboratori e un pomeriggio di sosta dedicato alle visite in Assisi e alle relazioni personali la giornata si conclude con una preghiera ecumenica ospitata nel Santuario di Santa Maria degli Angeli.

Foto: la basilica di Santa Maria degli Angeli