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Madri a comando

 Ha suscitato un certo clamore la notizia di alcuni giorni fa secondo cui le giovani donne che lavorano in Apple o in Facebook potranno, al fine di non interrompere la loro pregiata carriera, congelare i propri ovuli a spese dell’azienda. Per alcuni si tratta di una scelta moderna, progressista, del resto il rinvio della maternità più a lungo possibile è qualcosa cui ci siamo abituati da tempo. Per altri si tratta di un forte condizionamento volto ad alimentare la competizione, una minaccia alla libertà riproduttiva delle donne. La giornalista Marina Terragni ha parlato, nel suo blog, di “sterilizzazione forzata, una sorta di dimissioni in bianco ma più moderne, tecnologiche e women friendly”. Quello che personalmente mi lascia atterrita è la facilità con cui si pensa di dominare il desiderio di maternità, magari snobbandolo dapprima, considerandolo roba da pre-emancipazione, salvo poi rivendicarlo ad ogni costo una volta che torni a farsi prepotente. Ecco che allora tutto diventa lecito, percorsi di fabbricazione compresi.

Nella direzione opposta sembra invece andare la decisione del premier Matteo Renzi sugli 80 euro del bonus bebé per i prossimi tre anni. In tempi di crisi e difficoltà per le famiglie è difficile non considerarlo un aiuto prezioso per molti; ciò che spaventa è la visione antica di chi sembra concepire la donna essenzialmente come madre. La Chiesa cattolica ne sa qualcosa ma non è l’unica; la stessa sinistra spesso concepisce il sostegno alle donne solo in termini di difesa o promozione della maternità: che si tratti di politiche famigliari, di bonus per le madri o per i nuovi nati, la logica di fondo non cambia.

In ambedue i casi colpisce la pericolosa polarizzazione con cui ci si accosta al corpo delle donne: impedite nel loro desiderio di maternità da un lato o sostenute nella loro funzione materna, più che nella loro autonomia, dall’altro. Ciò che li accomuna è la scarsa considerazione nei confronti della libertà femminile che viene sacrificata all’altare di una causa più nobile. Una libertà il cui accento per me non ricade tanto sul disporre del proprio corpo a piacimento (si veda a tal proposito il celebre slogan degli anni Settanta “l’utero è mio e me lo gestisco io”).

In quanto protestante ho sempre guardato con un certo sospetto a questa idea di poter disporre di sé come si vuole perché sono convinta che la signoria su di me ce l’abbia solo Dio. La libertà di cui parlo è una libertà che sappia onorare il senso del limite, una libertà che si gioca nella relazione e che nel caso della maternità investe le mie fantasie e le mie proiezioni, il rapporto con il padre e il futuro nascituro. Su questi temi dobbiamo ritrovare un alfabeto meno brutale e totalizzante; la centralità politica del rapporto uomo-donna non deve rimanere un’ossessione di poche e antiche paladine del femminismo. Per fortuna se ne stanno rendendo conto anche molti uomini ed è con questi che occorre lavorare a un nuovo confronto tra i sessi affinché esso si riveli ricco e fecondo.  

Foto: “Segantini Le due Madri” by Giovanni Segantini – Kunstmuseum Chur. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.