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Kosovo. Vecchie e nuove tensioni

«Una terribile guerra provoca morti e distruzioni in Ucraina e si ripercuote sul resto del mondo, con effetti gravissimi sugli approvvigionamenti alimentari in Africa, anche se a far notizia sono soprattutto quelli energetici, da cui l’Europa dipende. Nonostante i legami commerciali con la Russia, l’Occidente non ha saputo ricreare quella comunicazione che era usuale al tempo dell’Unione Sovietica; gli scambi di merci non hanno potuto compensare la mancanza di dialogo politico», afferma Mario Giro (già viceministro degli Esteri dal 2013 al 2018 e docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università per Stranieri di Perugia), nel libro Trame di Guerra e intrecci di paceIl presente tra pandemia e deglobalizzazione (Edizioni Seb27 – collana Sguardi).

«Le guerre – ricorda Giro – non risolvono i contrasti o le crisi internazionali, come hanno insegnato innumerevoli precedenti. Occorre più che mai la trattativa, la mediazione e la pacatezza di giudizio; morte e distruzione non cesseranno senza negoziati e concessioni, purtroppo gravose. La pandemia e la guerra in Ucraina stanno scardinando la globalizzazione, portando mutamenti, sia nei Paesi più ricchi, dove risorgono i nazionalismi, sia in quelli socialmente ed economicamente più fragili. In Africa si disgregano i sistemi sociali tradizionali e i modelli neoliberisti portano alla disaffezione dalla politica e al conseguente governo dei tecnici, spesso militari golpisti».

Nuovi scontri scuotono anche il vicino Kosovo. 

Tensioni mai sopite, che riemergono e sono fonte di ulteriori preoccupazioni in un’Europa già scossa dalla situazione in Ucraina, dalla crisi energetica, dagli scandali legati alla corruzione. 

Il 9 e l’11 dicembre scorsi, infatti, i manifestanti serbo-kosovari hanno improvvisato blocchi stradali sulle principali vie di comunicazione nel nord del Kosovo: «Il fine dei dissidenti – ricorda Mirco Musetti su Limes, la rivista italiana di geopolitica è impedire alle forze speciali di Pristina (Priština/Prishtinë) di dispiegarsi e condurre arresti e operazioni di presidio territoriale nelle municipalità a maggioranza serba attorno al capoluogo Kosovska Mitrovica/Mitrovicë. Nel trambusto si sono verificate sparatorie tra cittadini e forze dell’ordine, nonché l’arresto di un ex poliziotto di etnia serba. La missione dell’Unione Europea per lo Stato di diritto in Kosovo (Eulex) ha riferito la deflagrazione di una granata stordente contro un proprio veicolo. 

L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri Josep Borrell, ha affermato che “le barricate devono essere rimosse immediatamente dai gruppi serbi del Kosovo. La calma dev’essere ripristinata”».

Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha annunciato che chiederà alla Nato di permettere a Belgrado l’invio di militari e poliziotti serbi nel nord del Kosovo a protezione della comunità serba dell’ex provincia. Nel frattempo, la presidente del Kosovo Vjosa Osmani ha rinviato al 23 aprile 2023 le elezioni locali programmate nella regione per il 18 dicembre 2022.

La premier serba Ana Brnabic ha replicato con durezza alle dichiarazioni della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, che ha definito inaccettabile l’ipotesi di un invio di forze di sicurezza serbe in Kosovo. 

L’episodio di tensione (si legge su Formiche.net) è cominciato a causa dell’arresto di un ex poliziotto serbo-kosovaro, Dejan Pantic, prelevato dalla polizia del Kosovo mentre tornava a casa con l’accusa di avere aggredito le forze di sicurezza. Pantic, come altri 600 agenti, ha rinunciato al suo incarico per il boicottaggio del partito Lista Serba.

Mario Giro, esperto di cooperazione internazionale, in questi giorni è in missione in Kosovo, oggi a Belgrado: «Siamo tornati agli anni Novanta. Per i serbi è importante mantenere lo statu quo. Ossia, preservare i quattro comuni  nel Nord, dove secondo le autorità risiedono centomila serbi, ma si stima una reale presenza di ventimila persone,  che si sentono serbe. Vučić le ritiene tali e dunque le difende, anche per non generare nuove tensioni politiche interne». 

Infatti, il presidente serbo Aleksandar Vučić intende chiedere alla Nato di permettere a Belgrado l’invio di militari e poliziotti serbi nel nord del Kosovo a protezione della comunità serba dell’ex provincia.

«Tuttavia – prosegue Giro -, il nuovo governo kosovaro rivendica, e lo fa nella piena legalità, che la popolazione serba, residente nei quattro comuni del Nord, sia a pieno titolo cittadina del Kosovo». 

La Serbia, infatti, non ha mai accettato l’indipendenza del Kosovo, che considera tuttora una propria provincia sottratta illegalmente. Di più  il popolo serbo percepisce la storica regione contesa come la culla della propria identità.

«La situazione in quell’area, che ha vissuto sino ad ora una sorta di “pax apparens”, vede con queste nuove provocazioni riaccendersi antichi contrasti. Aleksandar Vučić, solo pochi giorni fa, affermava “gli albanesi si comportano con noi in Kosovo come noi ci comportavamo con loro negli anni Novanta”. Un cortocircuito», ricorda Giro. 

La situazione internazionale non aiuta: i Balcani occidentali sono una porta d’accesso privilegiata al Vecchio Continente, il possibile riaccendersi del conflitto potrebbe avrebbe conseguenze geopolitiche drammatiche per l’Italia: «la situazione di conflitto in Ucraina – prosegue Giro -, condiziona la situazione in Kosovo; una situazione che vede gli Stati Uniti interessati ad allargare la Nato e dunque temono che i Serbi si possano avvicinare alla Russe. Tuttavia, il governo Serbo – seppur possa subirle -, rifiuta le possibili ingerenze russe. La situazione ad oggi vede il governo kosovaro dalla parte della ragione dal punto di vista legale, tuttavia le provocazioni  in atto irrigidiscono la parte serba e aumentano così una possibile influenza russa. La situazione è molto delicata, pericolosa e potrebbe sfociare in altre azioni violente e incontrollabili». Tra i motivi della discordia, prosegue Giro, «gli albanesi impongono ai serbi di utilizzare i documenti e le targhe automobilistiche kosovare, mentre i serbi continuano a vivere con i loro documenti e a difendere le loro tradizioni. Una situazione che è in precario equilibrio da tempo, oggi incancrenita. Non si è intervenuti prima, proprio come con la Crimea nel 2014. Due esempi di situazioni geopolitiche congelate e poi riemerse». 

I serbo-kosovari del nord, si legge appunto su Limes, «temono la crescente assertività del governo di Pristina. La frattura etnica nel paese dei merli (kos significa merlo in serbo-croato) si è manifestata con chiarezza a novembre 2022 quando, per protestare contro i provvedimenti governativi sulle immatricolazioni automobilistiche, i funzionari pubblici di origine serba si sono dimessi in massa: sindaci, magistrati, agenti di polizia, parlamentari. Il timore dei serbi non risiede più nella comminazione di multe (150 euro) o nel sequestro dei veicoli per chi non si conforma alle nuove direttive, bensì nella graduale colonizzazione albanese della regione settentrionale».

La guerra non è ineluttabile: è sempre una scelta politica dei leader, e in quanto tale può essere evitata: «Com’è già accaduto con le guerre del Golfo e in Medio Oriente, o nel conflitto afghano o durante le guerre dell’Ex Jugoslavia – conclude Giro -, è facile constatare che il conflitto armato non risolve i contrasti o le crisi internazionali, anzi li peggiora. La guerra deturpa l’anima dei popoli che la fanno o la subiscono, anche di quelli che si difendono. L’esperienza insegna che i Paesi che vi sono trascinati ne escono deteriorati, inaspriti, regrediti, degenerati. Kant lo diceva in modo semplice: “la guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea”».  

Il libro di Mario Giro: Trame di Guerra e intrecci di pace – Il presente tra pandemia e deglobalizzazione (Edizioni Seb27 – collana Sguardi)