Intesa Chiesa valdese-Stato italiano, una lunga vicenda (anche) politica

L’appassionante cavalcata che ha portato alla storica firma del 1984

 

Quest’anno si ricorda, oltre agli 850 anni dalla formazione del primo movimento valdese, anche i 40 anni dalla firma dell’Intesa tra la Chiesa valdese e lo Stato italiano (art. 8 della Costituzione), il 21 febbraio 1984. È una data epocale, perché segnò il reciproco riconoscimento tra una Chiesa di minoranza e la Repubblica italiana democratica, uscita dalla Resistenza, e l’avvio del pluralismo religioso riconosciuto ufficialmente nel nostro Paese. Ma la storia di questa storica firma ha un lungo percorso  precedente, di 36 anni…

Sappiamo che all’Assemblea Costituente fu votato, su pressione della Democrazia Cristiana e con i voti del Pci su decisione del suo leader Palmiro Togliatti – e nonostante l’opposizione di socialisti, liberali e radicali e il forte dissenso di intellettuali come Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei – l’art. 7 della Costituzione, che confermava i Patti Lateranensi del Concordato firmato nel 1929 tra la Chiesa cattolica e il regime fascista. Venne però votato anche l’art. 8, sulla libertà religiosa, a cui fu aggiunto un comma proposto dal comunista e presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini, che dice, riguardo alle confessioni non cattoliche: “I  loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di Intese con le relative rappresentanze”.

Nel frattempo, finita la guerra, nel 1946, su proposta del Sinodo valdese, era nato il Consiglio federale delle chiese evangeliche in Italia, a cui aderirono tutte le chiese, compresi Avventisti e Pentecostali, e in cui si impegnò fin da subito – e per 40 anni – l’avvocato e professore Giorgio Peyrot, per l’attuazione dell’art. 8 della Costituzione, affermando da subito che il traguardo era la costruzione in Italia di una società pluralista.

Ma ci fu la vittoria del 18 Aprile 1948, che dette alla Dc la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, e successivamente i governi centristi di De Gasperi, che si ispiravano alla legge fascista del 1929 sui “culti ammessi”, in cui questi erano sostanzialmente un problema di ordine pubblico (“ Purché non professino principi e non siano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume”. Quindi il Ministero dell’Interno esercita penetranti poteri di controllo, in particolare prevede l’approvazione governativa delle nomine dei ministri di culto e la vigilanza sulle attività): infatti, alle sollecitazioni del Consiglio Federale a De Gasperi per l’attuazione dell’art. 8, questi dirottò la richiesta a Mario Scelba, ministro dell’Interno, con un nulla di fatto.

Nel 1955 tardivamente nacque la Corte Costituzionale, che cominciò a modificare gli articoli più repressivi di tale legge. Nel 1962 cominciò a cambiare il vento con i primi governi di centro-sinistra (Dc-Psi) e nel 1964 con la Presidenza della Repubblica di un laico, antifascista, fondatore del Pdsi Giuseppe  Saragat, e a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta furono varate alcune importanti riforme, dalla Scuola media unica obbligatoria allo Statuto dei lavoratori e alla Legge sul divorzio), e inoltre un sistema pensionistico garantito dallo Stato (e un analogo Servizio Sanitario Nazionale), che gli evangelici dichiararono di non accettare per i loro pastori, se non si fosse proceduto a un riconoscimento fra Chiese e Stato; in quella circostanza il governo fece approvare in Parlamento quelle che furono chiamate “Piccole Intese”.

Seguirono anni difficili che portarono nel 1976 al governo di unità nazionale (DC,PSI,PRI, con l’appoggio esterno del PCI) presieduto da Andreotti, che annunciò l’intenzione di rivedere il Concordato, formando una Commissione composta dal dc Guido Gonella, Arturo Jemolo, studioso cattolico liberale, e dal prof. Ago, esperto di diritto internazionale, a cui gli evangelici ottennero fosse affiancata una Commissione per la stipula delle Intese (erano stati eletti in Parlamento Tullio Vinay indipendente nel Pci, e Valdo Spini, socialista): di questa fecero parte Giorgio Peyrot, Sergio Bianconi, giurista, e lo storico Giorgio Spini, della chiesa metodista, che nel frattempo, nel 1975 aveva costituito un “Patto di Integrazione” con quella valdese. Tale commissione mantenne anche un costante dialogo con la comunità ebraica (in particolare con la Presidente Tullia Zevi e l’avv. Guido Fubini di Torino). Fu nominata anche un’ampia Commissione di Studio di pastori e intellettuali, che lavorò per dieci anni.

In seguito a un colloquio di Peyrot con Francesco Cossiga, collega all’Università e ministro dell’Interno, il presidente del Consiglio Andreotti scrisse al Moderatore. Un atto da cui partì la trattativa per l’Intesa. Fu redatta una bozza dalle due commissioni evangeliche, approvata dal Sinodo 1977 e siglata dalle due delegazioni il 4 febbraio 1978. Purtroppo, per una serie di ragioni si arenò la revisione del Concordato e in parallelo quella per l’Intesa, mentre il terrorismo dispiegava tutta la sua violenza con il sequestro e l’uccisione del presidente della Dc Aldo Moro.

In quello stesso anno fu eletto al Quirinale Sandro Pertini e il 17 febbraio del 1981 grandi manifestazioni sollecitarono in Italia la firma dell’Intesa, portando in superficie anche i gravi problemi morali, spirituali e politici  che il nostro Paese stava affrontando; da quell’anno, le Chiese della Fcei (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) decisero di dedicare quella data a una “Settimana della Libertà”. Nel frattempo al governo era arrivato il laico Spadolini, repubblicano, ma la situazione non cambiò. Il pastore Giorgio Bouchard, allora Moderatore (1979-1986) ebbe l’incarico dalla Tavola di contattare i segretari generali di tutti i partiti politici, da Enrico Berlinguer (Pci) a Bettino Craxi (Psi), Giulio Andreotti (Dc), Giorgio La Malfa (Pri).

Nell’autunno 1983, di fronte all’ennesima crisi di governo, Pertini diede l’incarico a Bettino Craxi che formò il primo governo pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e primo a guida socialista che rimase in carica per circa 3 anni. Le trattative per la revisione del Concordato e quella per la firma dell’Intesa ripresero. Craxi delegò l’allora sottosegretario Giuliano Amato di condurla. Il moderatore, accompagnato dal giurista, prof. Francesco Margiotta Broglio e dal deputato Valdo Spini, discusse fortemente riguardo alla legge fascista dei “culti ammessi”, poi si trovò la formula che “La legge di approvazione, ai sensi dell’art.8 della Costituzione, della presente Intesa, sostituisce a ogni effetto le leggi sui culti ammessi.”

Qualche giorno dopo, ci fu un altro momento critico: il testo dell’Intesa venne pubblicato dal “Messaggero” da una ignota “ soffiata giornalistica”, e la DC pose subito il problema dell’orario dell’insegnamento dell’ora di religione nelle scuole: o si modificava il testo, o Craxi non firmava. Il nuovo testo proposto dal governo era (ed è)  “L’ordinamento scolastico provvede a che l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione di altre materie, né secondo orari che abbiano, per i detti alunni, effetti comunque discriminanti.”

Il moderatore Giorgio Bouchard disse che se Craxi si impegnava a presentare subito il giorno dopo il testo dell’Intesa in Parlamento, accettava di firmare, e il 21 febbraio 1984 – dopo 36 anni di battaglie e lavori delle Commissioni – ci fu la cerimonia pubblica della duplice firma: la fotografia la trovate ora al Museo valdese di Torre Pellice, e il servizio sulla firma è stato trasmesso recentemente dalla trasmissione televisiva “Protestantesimo”. 

Il governo fu di parola, e la legge di approvazione dell’Intesa – per intervento del deputato Valdo Spini – fu messa ai voti alla Camera all’inizio di luglio, e approvata dalla quasi totalità dei deputati. Anche il Senato, per l’intervento dell’ex senatore Tullio Vinay, molto stimato da Cossiga, divenuto nel frattempo presidente del Senato, approvò l’Intesa all’unanimità, il 2 agosto. E l’11 agosto Pertini firmò l’approvazione dell’Intesa, che fu pubblicata il 13 agosto sulla Gazzetta Ufficiale .

Ma, dopo la firma, – ricordò Giorgio Bouchard, erano cominciati “i più grossi dispiaceri professionali della mia vita”, con un’infinità di critiche del mondo valdese da ogni parte. Alla fine di agosto, però, il Sinodo approvò, con voto pressoché unanime.[1]

Anni dopo, in un’altra pubblicazione, Bouchard aggiunse un elemento strettamente personale di quei giorni: “Una coppia di carissimi amici mi disse che firmando l’Intesa avevo fatto “un segmento di storia” della presenza evangelica in Italia. Questa valutazione mi consolò. […] Il lungo travaglio per l’Intesa ci ha portati a contribuire all’edificazione di un’Italia pluralista: di questa Italia gli evangelici sono ormai una componente significativa. Voglia Iddio che questa componente resti sempre fedele a quella Parola che è stata loro rivolta nel corso dei secoli”.[2]

Note

[1] P. Egidi Bouchard, Giorgio Bouchard, “Un ragazzo valdese”, Claudiana,2013

[2] Giorgio Bouchard, “Trent’anni dopo. L’avvicente vicenda dell’Intesa tra le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese e la Repubblica italiana”, nei “Quaderni del Circolo Rosselli”, 2/2015, pp.25-47.
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