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«Giudici anti aborto se sarò eletto presidente»

I toni sono stati entusiastici, tipici da rush finale delle costose e folkloristiche campagne elettorali statunitensi: «Quello di oggi è stato un momento fondamentale, il punto di svolta che vi porterà diritto alla presidenza» ha esclamato entusiasta dal palco l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, al momento di chiudere l’incontro che ha visto circa un migliaio di leader cristiani evangelical e conservatori assistere e acclamare il candidato alla Casa Bianca per il partito repubblicano, Donald Trump. Che a fianco di Huckabee, che è anche pastore battista ed è stato a sua volta in corsa per la presidenza, annuiva e sorrideva felice dal palco nella grande sala congressi di un hotel a Times Square, New York.

«Il signor Trump è un leader coraggioso e senza paura che saprà lottare contro i nostri nemici e contro il terrorismo islamico» ha tuonato il reverendo Jerry Falwell, presidente della Liberty University in Virginia, e fan della prima ora del tycoon a stelle e strisce.

D’altro canto il multimiliardario non si era certo risparmiato, arringando i presenti a suon di proclami relativi a battaglie di fede da vincere, e a suon di promesse sempre più ardite: «Se sarò eletto nominerò giudici con posizioni anti aborto alla Corte Suprema ( il più importante tribunale federale degli Stati Uniti)» e ancora «abolirò il divieto di esenzione fiscale per i gruppi che fanno politica, comprese le chiese. Mi sento così tanto dalla vostra parte, sono un credente indomito e insieme raddrizzeremo il mondo là fuori».

Musica per le orecchie dei presenti, che alzano i decibel degli applausi a mano a mano che le parole di Trump si fanno più infuocate. C’erano e ci sono ancora pesanti riserve attorno alla sua figura nel mondo evangelical conservatore americano, che si era dimostrato convintamente più vicino a candidati come Ted Cruz o Marco Rubio. Ma ora l’uomo forte è lui, e sono i suoi seguaci della prima ora a segnare la via, a spendersi nelle comunità, a convogliare altri leader spirituali attorno alla sua figura.

Marjorie Dannenfelser, antiabortista di lungo corso ha ammesso che «Trump non era certo la mia prima scelta e con il nostro gruppo avevamo fatto pressioni contro di lui durante le primarie. Ma le dichiarazioni di oggi ci riavvicinano in maniera decisa».

L’incontro è durato diverse ore, e non sono mancati scambi di battute vivaci e interventi che hanno sottolineato la matrice non proprio cristiana di molti comportamenti del leader repubblicano, ma al contempo è stato evidenziato il presunto cambio di rotta in corso, suggellando il tutto con la prospettiva cristiana del perdono. D’altro canto come abbiamo visto Trump non è certo giunto all’incontro a mani vuote.

A molti dei convenuti quella di Trump pare ora la scelta inevitabile, non la migliore, ma l’unica possibile a questo punto, una volta bruciate candidature che parevano assai più credibili e che invece si sono rilevate della consistenza del burro. Gli servirebbero percentuali di adesioni fra gli evangelici pari al 70 o 75% secondo gli analisti, per recuperare il gap che lo separa dalla Clinton in altre fette di società. L’impresa appare assai ardua perché non sono certo tutte così conservatrici le anime evangeliche statunitensi.

Fra le cui fila i detrattori più accesi in questi mesi si sono segnalati Russell Moore, presidente della Commissione “etica e libertà religiosa” della Convenzione battista del sud che ha definito «liquame morale degno di un reality» la campagna elettorale del costruttore e imprenditore televisivo, e vari altri pastori che hanno rimarcato l’incompatibilità dei proclami di Trump con la parola evangelica, invitando apertamente a votare per Hillary Clinton. Secondo il più recente sondaggio la percentuale di favori per Trump fra gli evangelical sarebbe di circa il 62%, dato che molti leggono in realtà in difetto e che potrebbe rivelarsi un ago della bilancia di non poco conto.

Immagine: By Michael Vadon – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42904291