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Commento di Daniele Garrone

Il cinquecentenario della Riforma del 2017 sarà per molti aspetti certamente assai diverso dagli anniversari che lo hanno preceduto. Da un lato, si è fin dall’inizio sottolineato che si intenderà, anche in Germania, mettere al centro dell’attenzione non tanto e non solo la figura di Martin Lutero, quanto la Riforma del XVI secolo nel suo complesso e in tutte le sue articolazioni. Anzi, a ben guardare, le Riforme. Le celebrazioni non saranno caratterizzate confessionalmente, e in questo si manifesterà appieno il cammino svolto dopo che nel 1973, a Leuenberg presso Basilea, le Chiese protestanti d’Europa hanno superato le reciproche sconfessioni che luterani e riformati si portavano dietro più o meno dal tempo della Riforma. Ci sarà certamente anche una dimensione ecumenica, sostenuta anche dalla consapevolezza che la stessa Chiesa di Roma è stata influenzata dal movimento a cui Martin Lutero ha dato avvio.

Un terzo fattore è però da sottolineare qui: come mai prima, il problema dell’atteggiamento protestante nei confronti degli ebrei sarà un tema centrale. Che questa nuova dimensione fosse ineludibile, sia sul piano storiografico sia su quello teologico, era già apparso chiaro intorno al 1983, cinquecentenario della nascita (1483) del riformatore tedesco. Varie dichiarazioni ecclesiastiche presero posizione contro le affermazioni antiebraiche di Martin Lutero. Questo processo di consapevolezza e di elaborazione critica è parte di un cammino che ha coinvolto in particolare le Chiese evangeliche tedesche a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, con una intensificazione a partire dagli anni ‘80. Non soltanto si è riflettuto sulla corresponsabilità nella Shoah, ma si è assunto il peso dell’antigiudaismo teologico cristiano e delle sue articolazioni protestanti. Di grandissima rilevanza, anche ecumenica, fu in particolare la dichiarazione sinodale approvata nel 1980 dalla Chiesa evangelica della Renania con il titolo Conversione e rinnovamento. Successivamente, varie Chiese evangeliche tedesche (Landeskirchen) hanno inserito nel preambolo dei loro ordinamenti ecclesiastici quello in cui si riassume ciò che la chiesa crede e la qualifica come cristiana, una formulazione in cui il rapporto con Israele è presentato in termini positivi. I documenti della Chiesa evangelica dello Hessen-Nassau e della Ekd, che pubblichiamo qui, sono un esempio eloquente del processo che ho appena richiamato.

Esiste indubbiamente un «caso Lutero». Più di altri esponenti della Riforma egli espresse in scritti appositi la sua polemica contro l’ebraismo, con toni sempre più accesi. Lui che aveva messo al centro della sua opera il riferimento all’Antico Testamento letto in ebraico, come testimonianza a Cristo, non riusciva ad ammettere che gli ebrei, il cui pensiero aveva scoperto grazie alle esposizioni esse stesse polemiche di ebrei convertiti, potessero leggere diversamente la loro Bibbia, se non per malafede o addirittura per influenza diabolica. Di qui l’animosa polemica e gli scritti sempre più duri dell’ultimo decennio della sua vita. Questi testi non ebbero certamente la diffusione e la ricezione, entrambe enormi, di altre sue opere; furono «riscoperti» e strumentalizzati all’epoca del nazismo. Di qui si sviluppò nella pubblicistica l’ipotesi di una sorta di filo diretto «da Lutero a Hitler», che si è però mostrato non reggere. L’immediata associazione di Lutero al tema dell’antigiudaismo protestante è anche, infine, dettata dal fatto che le riflessioni e le ricerche più approfondite sul tema sono state condotte in Germania e, in Germania, Riforma vuol dire immediatamente e soprattutto Lutero.

Ne approfitto per segnalare che chi volesse approfondire il rapporto tra Lutero e gli ebrei, può leggere uno dei suoi testi più rilevanti, Degli ebrei e delle loro menzogne, nella ottima traduzione di Adelisa Madena, con introduzione di Adriano Prosperi, Einaudi, Torino 20082 e il documentatissimo, ma al tempo stesso ben leggibile, saggio di Thomas Kaufmann, Gli ebrei di Lutero, che l’editrice protestante Claudiana ha appena pubblicato e che è stato presentato il 14 maggio al Salone del libro di Torino.

Detto questo, la riflessione protestante e quella ecumenica non possono però per così dire «isolare» Lutero. Egli si iscrive, da un lato, in una tradizione polemica e discriminatoria che ha percorso tutta la storia della cristianità fin dal II secolo della nostra era, se non ha radici addirittura in alcune pagine del Nuovo Testamento. Nella sua polemica antiebraica Lutero non è solo, con lui ci sono grandi padri della chiesa, ad esempio, e la maggioranza dei suoi contemporanei.

Sarebbe però sbagliato anche isolare Lutero sul fronte della Riforma. Tutti sanno ormai che egli rivolse consigli alle autorità per la distruzione delle sinagoghe, la confisca dei libri ebraici e l’espulsione degli ebrei. Martin Bucero rivolse indicazioni analoghe al langravio d’Assia, pronunciandosi contro la tolleranza degli ebrei nel suo territorio. Lo stesso atteggiamento ebbe H. Bullinger, più tardi, in risposta a un interlocutore che gli chiedeva se fosse lecito tollerare gli ebrei in territorio cristiano. Non conosciamo la risposta di Calvino a un quesito analogo, ma scrisse anch’egli una confutazione del pensiero ebraico e non lesinò affermazioni pesantemente polemiche contro gli ebrei nelle sue predicazioni. Insomma, la presa di distanza dagli scritti antiebraici di Lutero non può che essere un aspetto, di una rivisitazione critica, in prospettiva storica, di tutta la nostra eredità di chiese delle Riforma.

Non si tratta di rimproverare ai riformatori di non aver avuto quelle posizioni a cui noi siamo giunti soltanto dopo la dissoluzione del corpus christianum, dopo l’Illuminismo e le sue acquisizioni liberali, dopo almeno due secoli di lettura storico-critica della Bibbia e, non dimentichiamolo, dopo la Shoah, cioè dopo che chi era stato per quasi due millenni oggetto di diffamazioni, discriminazioni e persecuzioni, è stato condotto al macello. Si tratta di rivedere il nostro rapporto con quella storia e con la sua eredità.

* docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese di Teologia – Roma


Commento di Giuseppe Momigliano

Ricevo dall’amico pastore prof. Daniele Garrone un importante e significativo documento della Chiesa evangelica in Germania, recentemente emanato, relativo agli scritti di Lutero sugli ebrei, con particolare riferimento alle celebrazioni per i cinquecento anni della Riforma, previste per il 2017.

Il documento, nell’ambito di una coerente riaffermazione della centralità dell’insegnamento di Lutero per le Chiese luterane in particolare e per quelle protestanti in generale, riconosce esplicitamente e senza indulgenze il contenuto antigiudaico degli scritti di Lutero, collocandoli nel contesto storico e ideologico dell’epoca, e ravvisandone quindi le più lontane radici in un radicato atteggiamento antigiudaico allora particolarmente diffuso e sostanzialmente condiviso nel mondo cristiano e in una conseguente inveterata consuetudine di utilizzo dei testi biblici in funzione antigiudaica. Il documento ammette altresì che, come era egualmente prassi all’epoca, anche le affermazioni di Lutero sugli ebrei non corrispondevano ad alcuna effettiva reale conoscenza diretta degli ebrei di cui il teologo potesse disporre. Pur rievocando anche i diversi e più concilianti toni con i quali Lutero si era rivolto agli ebrei in un primo tempo, il documento non nega una continuità di fondo nell’antigiudaismo di Lutero, che di fatto interpretava le sofferenze in cui vivevano gli ebrei come la meritata punizione divina per il loro rifiuto di riconoscere in Gesù il Messia.

Con particolare enfasi il documento prende atto dell’utilizzo dei testi antigiudaici di Lutero nel moderno antisemitismo e finanche da parte della stessa pubblicistica nazista e proclama quindi un’assoluta presa di distanza da tali giudizi; nella parte conclusiva, relativa allo sviluppo di un diverso approccio, sia teologico sia relazionale delle Chiese evangeliche nei confronti degli ebrei, il documento ammette che «Lutero disconobbe le affermazioni bibliche sulla fedeltà di Dio al patto stabilito con il suo popolo e sulla durevole elezione di Israele», sottolinea inoltre come l’interpretazione ebraica della Bibbia sia non solo legittima ma anche necessaria e insostituibile per elaborare un’esegesi più ampia e profonda, nella stessa ottica cristiana. Infine, anche alla luce dei gravi utilizzi della polemica antigiudaica di Lutero perpetrati dal moderno antisemitismo, la Chiesa evangelica in Germania afferma la propria volontà di impegnarsi con una «responsabilità speciale nel resistere ed opporsi a tutte le forme di ostilità e barbarie verso gli Ebrei oggi».

La posizione assunta da Lutero nei confronti degli ebrei costituisce ovviamente un argomento di cui la storiografia si è ampiamente occupata, cercando in vario modo di interpretare l’inversione di rotta tra i primi scritti, in particolare quello del 1523, dedicato all’origine ebraica di Gesù, in cui deplora i metodi usati dalla Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei, forse attendendosi con quell’approccio un loro progressivo avvicinamento al cristianesimo, rispetto alla virulenza della polemica antigiudaica successivamente maturata, che ebbe le sue più dure espressioni nel testo Degli ebrei e delle loro menzogne, del 1543.

È curioso notare come l’indagine sul quadro storico e di pensiero in cui si colloca la predicazione di Lutero sugli ebrei faccia emergere di riflesso interessanti aspetti del mondo ebraico dell’epoca, che viveva in quegli anni, oltre ai secolari travagli ,il recente dramma dell’espulsione dalla Spagna, con tutto il seguito di traumi, intimi conflitti e contraddizioni, particolarmente legati all’esperienza del marranesimo; all’interno dunque del mondo ebraico la polemica condotta da Lutero contro la Chiesa cattolica non passò affatto inosservata, come ricordato tra l’altro nel saggio di Lucie Kaennel Lutero era antisemita? (ed. italiana a cura di M. Cammarata, Claudiana, Torino, 1999), in cui sono citati alcuni esponenti della cultura ebraica dell’epoca che, in maniera speculare e ovviamente in senso diametralmente opposto, avevano espresso, alcuni anche in modo abbastanza esplicito, aspettative di radicali cambiamenti da parte del cristianesimo nei confronti degli ebrei, quale risultato della presa di posizione di Lutero nei confronti dell’autorità del papa.

Al di là comunque della corretta collocazione delle affermazioni di Lutero nel contesto dell’epoca, risulta evidentemente molto più inquietante e sofferta l’analisi relativa all’utilizzo, per quanto arbitrario e incontrollabile, che di quei testi fece la propaganda nazista e gli accostamenti sconfortanti tra alcuni passi e la ben nota tragica sequenza di eventi quali, ad esempio, la «notte dei cristalli» con l’incendio delle sinagoghe. Nello stesso testo di L. Kaennel sopra ricordato, l’autrice dà testimonianza di questa lacerante disamina e in forma anche più ampia e puntuale essa appare nelle parole del pastore Daniele Garrone, sia nell’introduzione sia nell’appendice documentaria, che riporta le molteplici prese di posizione con le quali Chiese evangeliche di ogni parte del mondo hanno ribadito la loro radicale distanza dalle espressioni inequivocabilmente antigiudaiche presenti nell’insegnamento di Lutero.

La delicata e coraggiosa operazione sviluppata dalle Chiese evangeliche nei confronti dei passi più sconcertanti dell’insegnamento di Lutero a riguardo degli ebrei può avere diversi significati; innanzitutto si è trattato di un passo indispensabile, probabilmente non procrastinabile dopo la Shoah, analogo a quanto manifestatosi nella Chiesa cattolica, volto a sviluppare un diverso rapporto con ebrei ed ebraismo, fondato sul rispetto e sul riconoscimento di una funzione spirituale che l’ebraismo mantiene e che non viene più negata, sia pure con motivazioni e accenti teologici variamente espressi e con sfumature che ovviamente non possono nascondere la complessità dell’argomento. Il lavoro di riflessione e rielaborazione di una parte dell’insegnamento ricevuto costituisce probabilmente un aspetto importante della stessa esperienza religiosa contemporanea dei fedeli cristiani, nelle diverse confessioni, lo sforzo di discernere correttamente quanto si ritiene imprescindibile patrimonio dottrinario rispetto a quanto va interpretato alla luce di tempi e consapevolezze diverse va quindi considerato con rispetto e considerazione, come valore religioso intrinseco, anche al di là degli importanti esiti pratici che da questa riflessione sono scaturiti nei rapporti tra i fedeli delle nostre religioni.

Un altro indiretto significativo aspetto di questa revisione delle fonti religiose di Lutero, alla luce della tragica storia contemporanea, è l’attenzione che essa sollecita riguardo alla complessa matrice ideologica su cui è maturato il progetto nazista di genocidio del popolo ebraico; quanto più si pone attenzione nel ricercare le radici profonde dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, che penetrano anche in aspetti sfuggenti del pensiero e delle emozioni delle popolazioni occidentali, tanto più sarà possibile non solo capire qualcosa di più – mai completamente – di quegli eventi sconvolgenti ma anche intuire quando parte di quelle dinamiche di pensiero si può subdolamente ripresentare, sotto diverse sembianze, anche nel presente.

Infine questa forma di «esame di coscienza», nei confronti di alcuni controversi aspetti del patrimonio di insegnamenti ricevuti dalla propria tradizione, appare oggi un esempio che può riguardare in generale le religioni; è necessario tenere presente al tempo stesso il presupposto per cui ogni religione è chiamata a trasmettere un insegnamento chiaro, coerente preciso dei propri valori e dei propri precetti, senza nascondimenti e senza travisamenti tra ciò che si presenta e ciò che è nella realtà, tra quanto si mostra nei rapporti esterni e quanto si predica al proprio interno, avendo al contempo uno sguardo consapevole rispetto alla realtà complessa del mondo contemporaneo in cui le religioni, oltre a operare ciascuna singolarmente nel proprio percorso, devono altresì verificare che, nel loro vario, ormai inevitabile confronto, riescano nel complesso a far pervenire all’umanità esempi di comportamenti, messaggi concreti che possano avvicinare a D.O, che possano far sentire la necessità di ricercare valori più alti ed eterni a uomini sempre più distanti, indifferenti, spesso purtroppo delusi da discorsi spirituali non degnamente vissuti o sconcertati e inorriditi dall’utilizzo di idee religiose per giustificare comportamenti sanguinari.

* rabbino capo della Comunità ebraica di Genova


Commento di Heiner Bludau

Per me, il tema «Martin Lutero e gli ebrei» è una espressione concreta del più vasto tema «Le Chiese cristiane e gli ebrei». Non lo scrivo da esperto scientifico, ma da pastore, che è cresciuto in Germania e lì ha vissuto fino a sei anni fa.

Qualche cenno essenziale sul mio retroterra biografico, che, forse, contiene alcuni elementi «tipicamente tedeschi». A scuola, l’insegnante di Fisica, quando non aveva più voglia di fare lezione, raccontava, in modo molto vivido, della battaglia di Montecassino, cui aveva partecipato. Il programma di Storia, d’altra parte, terminava con la Prima Guerra mondiale; dopodiché si tornava all’Età della Pietra. Ufficialmente, non si parlava del nazionalsocialismo. Le domande rivolte ai genitori ricevevano risposte poco illuminanti ed erano insoddisfacenti.

Ed ecco il 1968 e il periodo seguente. In mezzo al caos di idee politiche di sinistra, cercavo la mia identità personale e mete affidabili per la mia vita. Decisi di rifiutare il servizio militare e andai in Israele, per un anno e mezzo, come volontario dell’Aktion Sühnezeichen/Friedensdienste [Campagna Segno di riconciliazione / Servizi di pace]. Questa organizzazione invia giovani nei Paesi che hanno sofferto a causa della Germania nazionalsocialista. Durante la preparazione accurata al servizio (che comprese anche un soggiorno ad Auschwitz e poi in Israele) finalmente venni a sapere cose precise sulla Shoah.

Il periodo in Israele mi ha formato profondamente. Una volta tornato in Germania, cercai, collaborando con diversi organismi, di tradurre in pratica quanto avevo sperimentato. Durante gli studi di Teologia, che intrapresi alcuni anni più tardi, fu una singola, semplice frase a darmi orientamento, a questo riguardo: «Il patto di Dio con Israele non è mai stato rescisso». Quest’idea, inserita in una delibera sinodale della Chiesa evangelica in Renania, nel 1980, non solo mi ha aiutato a guardare in modo critico all’idea della Chiesa come «nuovo Israele», ma anche a considerare con attenzione il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e tra Ebraismo e Chiesa. Il dialogo pubblico ebraico-cristiano, per esempio, in forma di studi biblici comuni durante i Kirchentag, ha di certo contribuito a questo.

Le due Dichiarazioni dei Sinodi della Chiesa d’Assia-Nassau e della Chiesa evangelica in Germania giungono al tempo giusto. Nell’ambito delle celebrazioni della Riforma, è nato un interesse pubblico nuovo per la figura di Martin Lutero. Nel quadro della decade precedente, in cui sono stati trattati diversi aspetti della Riforma, già nel 2013 ci si è occupati delle parti oscure della propria tradizione. Nel corso delle discussioni in proposito, si è capito che quello della tolleranza non fu un concetto-guida, per i riformatori. L’anno tematico, perciò, fu intitolato: «La lunga via alla tolleranza».

Se, ora, ci si interroga sulle origini dell’antisemitismo e dell’ostilità della Chiesa verso gli ebrei, ritrovandole in Martin Lutero, allora ciò può causare uno shock salutare. Così è accaduto a me, comunque, quando, di recente, mi occupai dell’argomento con il gruppo di lingua tedesca della nostra comunità. Una prima osservazione fu ambivalente: i testi di Lutero sul tema non sono accessibili in tedesco, nelle edizioni popolari. E questo non solo per il periodo seguente il 1945, ma anche per quello precedente il 1933. Ma quando, in Internet, mi sono imbattuto in estratti dell’opera Sugli ebrei e le loro menzogne (1543), mi è stato chiaro che qui non si tratta di innocuità o di spostamenti linguistici. Ero sconvolto dalle affermazioni di Lutero.

La controversia se l’atteggiamento di Lutero verso gli ebrei sia cambiato nel corso della sua vita o meno, la lascio agli esperti. Prendo atto, comunque, che entrambi i testi sinodali muovono dall’idea che non fu questo il caso. Vedo che Lutero anche vent’anni prima nel suo libro Sul fatto che Gesù Cristo era nato ebreo (1523), in cui si pose positivamente verso gli ebrei, non accetti la fede ebraica, ma che volesse solo costruire ponti per ottenerne la conversione. Per lui, non c’era spazio libero, tra il regno di Cristo e il regno del diavolo. Chi non apparteneva a uno dei regni, apparteneva per forza all’altro.

Su questo retroterra, comprendo entrambi i testi sinodali come sfida doppia: da una parte, nel quadro delle celebrazioni della Riforma, non dobbiamo estromettere la storia degli effetti avuti dalle dichiarazioni di Lutero contro gli ebrei, riguardo alla nascita dell’antisemitismo e, soprattutto, nel nazionalsocialismo, con la Shoah. D’altra parte, a questo punto è chiarissimo che Lutero, per noi oggi, va compreso solo nel contesto del suo tempo. Anche nella Chiesa luterana non può esserci un riferimento a Lutero che sia immediato, transtorico. Resta una figura che ha dato l’impronta, impulsi importanti, ma tali impulsi possono essere fruttuosi, per noi oggi, solo se le consideriamo in modo critico, prima di tradurli nel nostro presente. Entrambe le sollecitazioni, insieme, sono un aiuto ad attualizzare le scoperte della Riforma nel presente, facendolo in modo tale che la fede non si indirizzi né contro gli ebrei né contro la fede di un altro, ma attinga a un centro chiaro, che si chiama Gesù Cristo, ebreo egli stesso.

* decano della Chiesa evangelica luterana in Italia