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Boris Pahor, oltre un secolo di testimonianze

È morto a Trieste, dove era nato 108 anni fa, l’intellettuale Boris Pahor. Una vita lunghissima, segnata da grandi dolori e grandi battaglie civili, in primis per il riconoscimento della minoranza slovena in Italia, oggetto di decenni di persecuzioni, prima sotto il fascismo e poi nell’Italia repubblicana.

Egli stesso fu testimone all’età di 7 anni, il 13 luglio 1920, del tragico incendio del Narodni Dom, la casa del popolo, sede delle organizzazioni della comunità slovena a Trieste, in quello che è passato alla storia come uno dei battesimi del fuoco dello squadrismo fascista allora in fase di organizzazione.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 venne arrestato per essersi unito alle truppe partigiane slovene e venne deportato in vari campi di concentramento. Fra le opere più celebri “Necropoli” e “Il rogo nel porto”.

Qui di seguito riproduciamo l’intervista che Tavo Burat, alias Gustavo Buratti Zanchi, scrittore, poeta, politico e studioso delle minoranze linguistiche, nonché allora Presidente del concistoro della chiesa valdese di Biella condusse a Boris Pahor su “La Luce” (allora giornale delle chiese valdesi e metodiste) del 1991, all’indomani della dichiarazione di indipendenza slovena dalla Jugoslavia del 25 giugno di quello stesso 1991.

 

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Foto di Miran Hladnik