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Autonomia differenziata: posata la prima pietra

Nella serata di giovedì 2 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge sulla cosiddetta Autonomia differenziata, uno strumento che, se approvato, consentirebbe alle regioni di richiedere la possibilità di legiferare e amministrare su 23 materie, alcune delle quali assolutamente cruciali, come istruzione, sanità, produzione di energia e tutela dell’ambiente. Tale provvedimento è reso possibile dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che introdusse la possibilità in un comma dell’articolo 116.

Quello di giovedì è soltanto un primo passo di un percorso che, per arrivare in fondo, dovrà attraversare un lungo iter legislativo che passerà anche attraverso una cabina di regìa composta dai ministeri delle materie competenti, a cui sarà affidato il compito di definire i LEP, ossia i livelli essenziali di prestazione per ciascuna area tematica. E se il governatore piemontese Alberto Cirio, tra i primi sostenitori di questa richiesta, mette l’accento sulla possibilità di una gestione più efficace delle risorse destinate ai territori, il presidente nazionale di Uncem, Marco Bussone, avverte sulla necessità, in prima battuta, di una definizione chiara circa le funzioni di ciascun ente coinvolto: «Noi sappiamo che non basta parlare genericamente di maggiore autonomia delle regioni – spiega Bussone – Bisogna invece guardare a questo disegno contemplando tutte le autonomie locali, dalle province ai comuni e le unioni tra comuni, attribuendo a ciascuno una parte nel processo. Questo è un percorso lungo e complicato che richiede non poco lavoro politico in grado di elaborare una strategia che dica cosa è il Paese: quanto autonomista, quanto federalista, quanto centralista. Al momento sul tema enti locali non c’è una definizione di proposta. L’obiettivo secondo noi dev’essere quello di attuare per intero il titolo Quinto della Costituzione, che parla di Regioni, di comuni, di funzioni e di fiscalità».

Uno dei nodi maggiormente discussi di questa prima proposta di legge è legato al rischio di creare ulteriore divario tra chi parte da una situazione avvantaggiata e chi invece avrebbe necessità di essere trainato, in una dicotomia che non si risolve nei termini di nord e sud, ma anche, per esempio, tra zone urbane e e terre alte. «L’attenzione che bisogna porre nello sviluppo delle autonomie – prosegue Bussone – è quella di non squilibrare ulteriormente i servizi e l’organizzazione territoriale a favore di un determinato contesto geografico, marcatamente nelle zone urbanizzate del Nord. Il tema quindi non è tanto l’individuazione dei LEP come standard minimi di qualità, quanto come gli stessi vengono finanziati e quanto lo Stato vi investe. Tutti questi livelli minimi richiedono risorse e richiedono in previsione che lo Stato riequilibri quello che oggi non è in equilibrio: un Paese che riequilibra è un paese moderno, un paese che crea sperequazioni è un Paese che non riesce a stare al passo con i tempi, a stare in una dimensione europea e globale».