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Asilo ecclesiastico e disobbedienza civile

Fonte: voce evangelica

Il teologo Pierre Bühler ha recentemente pubblicato un “manifesto” nel quale spiega i motivi in base ai quali una chiesa può decidere di dare accoglienza, nei propri locali, a richiedenti l’asilo o migranti in difficoltà. Nell’intervista illustra opportunità e rischi legati all’asilo ecclesiastico e commenta i casi di Losanna, Basilea e Kilchberg.

Pierre Bühler, perché ha redatto il manifesto?

«Innanzitutto, i membri del collettivo che ha occupato la chiesa di Saint-Laurent, a Losanna, mi hanno chiesto di prendere posizione sull’argomento allo scopo di rispondere alla presa di posizione negativa del consiglio sinodale della Chiesa riformata del canton Vaud nei confronti della loro azione. In secondo luogo, ho voluto rispondere anche al consiglio sinodale basilese che ha espresso delle riserve nei confronti dell’azione del gruppo che ha partecipato all’occupazione della Matthäuskirche. Nel frattempo il manifesto è stato sottoscritto da oltre 220 persone».

Nel manifesto fa riferimento alle occupazioni di locali ecclesiastici avvenute a Losanna e a Basilea e prende posizione in merito a un recente caso di asilo ecclesiastico a Kilchberg. Le prime hanno avuto luogo senza il consenso delle comunità parrocchiali, mentre a Kilchberg è stata la comunità a decidere…

«Sì, è una differenza importante, di cui tengo conto nel “manifesto”. La situazione di Kilchberg, dove è stata l’assemblea comunitaria a decidere di accogliere una famiglia cecena, ha facilitato il lavoro di mediazione del consiglio sinodale di Zurigo. A Losanna e a Basilea i consigli sinodali si sono trovati di fronte a una situazione più difficile, ma occorre ricordare che non si sono in alcun modo fatti carico di un ruolo di mediazione».

Malgrado la mediazione del consiglio sinodale, la vicenda di Kilchberg si è conclusa con l’espulsione della famiglia cecena…

«L’espulsione della famiglia cecena fa male. Ho sperato che le autorità fossero disposte a trovare una soluzione che evitasse il ricorso all’espulsione. In quel caso la mediazione da parte degli organi ecclesiastici c’è stata, ma non si può mai escludere un fallimento».

La comunità parrocchiale avrebbe dovuto nascondere i profughi?

«L’asilo ecclesiastico non parte dal presupposto che si agisca in segreto. Si tratta in genere di un’azione pubblica di protesta che intende richiamare l’attenzione delle autorità su casi di ingiustizia nelle loro decisioni e azioni. In questo senso la comunità di Kilchberg ha agito correttamente. Ma simili azioni possono anche fallire. Se la comunità parrocchiale avesse proseguito la resistenza, il prossimo passo sarebbe stato quello di dire pubblicamente: “Abbiamo nascosto la famiglia”».

Probabilmente un simile passo non sarebbe però stato accettato dal consiglio sinodale zurighese…

«E perché no? In Francia, alla fine degli anni Novanta, ci sono state dirigenze ecclesiastiche che hanno coperto comunità parrocchiali che nascondevano persone minacciate. L’asilo ecclesiastico è in ogni caso illegale, ma prende in considerazione una legittimità etica. È proprio lo stato democratico di diritto a permettere la disobbedienza civile. Nel “manifesto” ho cercato di pensare l’asilo ecclesiastico in questo senso».

Chi stabilisce che cosa è legittimo e che cosa non lo è?

«Non è possibile stabilirlo in modo definitivo, dipende dalla situazione specifica. Occorre valutare: la minaccia che incombe su questa famiglia è abbastanza grave perché si faccia resistenza contro lo stato? Se la risposta è positiva, allora possiamo parlare di legittimità etica».

Nel caso di Kilchberg, non si può dimenticare che per il consiglio sinodale è importante presentarsi come un partner dello stato, leale e affidabile. Appoggiando l’asilo ecclesiastico la chiesa si assume dei rischi…

«Ci sono certamente dei rischi che una dirigenza ecclesiastica deve affrontare. Non si tratta di eludere tutte le leggi, ma di protestare – in situazioni estreme – contro decisioni disumane dello stato e affermare che ci sono valori più importanti dell’applicazione pura e dura della legge. Esprimere questo monito fa parte dei compiti di chi è testimone dell’evangelo. Per dirla con parole care alla tradizione riformata, “fa parte della mansione profetica di vigilanza della chiesa”».

Un fautore dell’etica della convinzione sarà favorevole all’asilo ecclesiastico, mentre un fautore dell’etica della responsabilità farà una sorta di valutazione d’impatto…

«L’etica della convinzione e l’etica della responsabilità non possono essere separate. Non abbiamo da una parte persone responsabili e dall’altra persone che per eccesso di ragioni di principio diventano irresponsabili. Chiunque abbia delle responsabilità nei confronti delle autorità e delle leggi deve valutare le conseguenze dei propri atti. In ogni modo, l’asilo ecclesiastico non intende ignorare semplicemente lo stato».

Quali sono allora le sue intenzioni?

«L’asilo ecclesiastico intende interpellare lo stato sui suoi principi giuridici. L’applicazione di una legge non ha violato un principio giuridico superiore? Questa è la domanda critica, certamente nel senso di un’etica della responsabilità».

L’asilo ecclesiastico è un atto simbolico. Come azione di massa non lo sosterrebbe?

«No. L’asilo ecclesiastico non è una pratica da generalizzare, anche se potrebbe essere praticato un po’ più spesso. Ma ha senso soltanto in casi molto concreti, nella speranza che in questo modo lo stato valuti meglio se esso rispetti o meno i propri principi. È quello che intendo nel mio manifesto quando parlo di “lealtà critica” nei confronti dello stato. Riguarda sempre il destino concreto di persone minacciate, di cui vanno valutati rischi e pericoli».

Torniamo al caso della famiglia cecena. Si rende conto del dilemma in cui si è trovato lo stato? Se in questo caso avesse ceduto, avrebbe creato un precedente…

«Me ne rendo conto. Anche lo stato deve valutare che cosa fare. Ma i precedenti potrebbero anche portare a qualcos’altro, per esempio a una revisione della legge sull’asilo, che è stata continuamente inasprita. L’asilo ecclesiastico è anche una protesta contro i continui inasprimenti».

Questa sarebbe una conseguenza positiva. Una conseguenza negativa potrebbe essere che le comunità parrocchiali vengano sommerse da richiedenti l’asilo respinti e le chiese cantonali non vengano più prese sul serio…

«Potrebbe esserci questo pericolo, certo. Ma non sono sicuro che a causa di ciò le comunità parrocchiali e le chiese cantonali verrebbero prese meno sul serio. In Germania c’è una comunità di lavoro ecumenica per l’asilo ecclesiastico e al momento sono in corso, in Germania, 284 casi di asilo ecclesiastico… e proprio anche grazie a ciò le chiese vengono di nuovo prese sul serio. Mi domando se i consigli sinodali svizzeri non stiano dimenticando il proprio ruolo critico nei confronti dello stato…».

Si riferisce al consiglio sinodale di Basilea?

«Anche a quello, sì. Il consiglio sinodale ha detto che la Matthäuskirche non è uno spazio protetto e prontamente la polizia ha fatto irruzione in quei locali!».

Ma la Matthäuskirche non era uno spazio protetto...

«Sì, ma la polizia ha raramente osato violare uno spazio d’asilo così simbolico. Se la dirigenza ecclesiastica avesse cercato il dialogo con le autorità, le cose sarebbero andate diversamente. A Losanna già oltre ottanta “casi Dublino” hanno avuto la possibilità di depositare una nuova domanda d’asilo in Svizzera invece di essere respinti. A Basilea, le sette persone ospitate nella Matthäuskirche sono state tutte espulse».

Perché a Losanna la polizia non è intervenuta?

«Un piccolo miracolo! Il consiglio sinodale aveva presentato una richiesta legale di sgombero. Si è allora scoperto che l’edificio non è affatto di proprietà della Chiesa evangelica riformata cantonale, ma della città. Spettava alla città ordinare lo sgombero, ma si è astenuta dal farlo».

Quando c’è un’occupazione, la comunità parrocchiale non ha alcun controllo su chi c’è in chiesa…

«L’occupazione avviene sempre per il tramite di un collettivo, dialogando con il quale si può accertare chi c’è esattamente in chiesa».

L’azione “Circolo degli amici di Cornelius Koch” ha invitato a sottoscrivere una lettera alla Federazione delle chiese evangeliche e alla Conferenza dei vescovi affinché si impegnino maggiormente per i profughi e per l’asilo ecclesiastico. Che cosa ne pensa?

«Alla base di questa azione c’è lo stupore perché né la Federazione né la Conferenza si sono espressi sullo sgombero della Matthäuskirche a opera della polizia. L’azione è giusta, ma capisco anche la difficoltà degli organismi nazionali nel decidere se pronunciarsi o meno. In questo caso, tuttavia, ritengo che il silenzio delle autorità ecclesiastiche svizzere sia piuttosto preoccupante».

Immagine: By Zairon – Own work, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14826838