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La nostra gioia e quella altrui

La vittoria del terzo scudetto da parte del Napoli ha scatenato reazioni di grande adesione, ma anche alcuni livori ascoltati alla radio. Non parliamo delle schermaglie fra tifoserie opposte, un sottobosco dai toni truculenti che vorrremmo dinenticare. Mi riferisco invece a quel tono un po’ spocchioso di chi dice che insomma, per i calci dati a un pallone, tutto questo entusiasmo, una città impazzita… insomma, roba o da ragazzi o da plebei.

L’attesa durata a lungo, rispetto a quella di altre squadre, ha incrementato l’entusiasmo dei napoletani; e tuttavia, lasciando agli speciallisti le analisi di tipo sociologico e antropologico, non si poteva fare a meno di notare, nelle immagini e nei racconti diretti che abbiamo potuto avere da amici, parenti, colleghi, un entusiasmo reale, e una gioia giustaente riposta in uno sport che è innanzitutto divertimento. Un divertimento, certo, a cui si sovrappongono asptti meno nobili: grandi giri di soldi, intrighi, doping, illeciti sportivi. Ma la gioia del goal e della partita vinta è gioia autentica perché viene spontanea dal campo e soprattutto perché… può esserci, può arrivare, come può non arrivare. È il bello dello sport.

Allora perché disprezzare i motivi per i quali qualcuno gioisce, come se avessero senso solo i “nostri” motivi di gioia, privati e personali, di noi che ci riteniamo più bravi? Nessuno e nessuna di noi è “più cittadino” in base al numero di giornali che legge o alla raffinatezza dei propri gusti esistenziali. Si dovrebbe esere contenti, invece, della gioia degli altri, ma forse per questo bisogna avere una serenità che oggi latita.

E qui vengono in mente le nostre chiese: sanno cogliere le manifestazioni di gioia degli altri? Molti di coloro che stanno intorno a noi trovano ragioni di soddisfazione al di là e al di fuori del cristianesimo e le chiese, protestanti “storiche” e cattolica, ne vedono le conseguenze nei propri numeri: il ruolo di centralità sociale che esse avevano secoli e decenni fa non esiste più. Allora, un primo, importante passo si potrebbe compiere se noi, che in queste chiese continuiamo a stare, nel tentativo di testimoniare come riusciamo l’Evangelo di Gesù Cristo, mostrassimo agli altri (a quelli che esultano e a quelli che si rammaricano, che gioiscono o che si arrovellano, tritati dalle difficoltà della vita) che il nostro modo di vivere la fede contempla anche la gioia nella sua tavolozza di emozioni. A volte facciamo fatica a dimostrarlo, e in primo luogo ne risentiamo noi. Chi festeggia lo scudetto non nasconde la propria felicità: noi ci vergogniamo di quella che viene dall’Evangelo?


Foto di napuliker