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L’eredità della famiglia Di Vittorio

«… Ti voglio dire innanzitutto che il nostro caro Vindice ha compiuto brillantemente il suo dovere di antifascista arruolandosi nel Maquis (la Resistenza francese) e comportandosi da eroe nei combattimenti contro i tedeschi. Ha guadagnato sul campo il grado di capitano… È incredibile: il nostro Vindice, il nostro “Silvio”, il nostro ragazzo timido e quasi timoroso che noi conosciamo e amiamo, è divenuto un combattente audace ed eroico».

Sono le parole di una lettera scritta da Giuseppe Di Vittorio a Baldina, sua figlia, per metterla al corrente di una sua visita al capezzale del figlio Vindice, ricoverato in Francia in gravi condizioni per una ferita da pallottola di mitragliatrice tedesca al fianco con interessamento del midollo spinale. Le complicanze infettive con pleurite subentrate alla ferita lo videro fra la vita e la morte per due mesi interi con febbre molto elevata, fino ai 41 gradi. Ma nonostante le cure adeguate e prolungate non riprese mai completamente l’uso degli arti inferiori, per cui fu costretto all’utilizzo della sedia a rotelle.

La sua partecipazione alla Resistenza francese fra i maquis fu caratterizzata da episodi eroici, tanto che gli fu assegnato il grado di capitano sul campo e la città che aveva contribuito a liberare dalla presenza nazista espose, alla fine delle ostilità, una sua fotografia con la scritta «Il nostro liberatore». La nascita di Vindice Di Vittorio, risalente al 21 ottobre 1922, celebrata in occasione del suo centenario dall’Anpi di Cerignola e Foggia in collaborazione con l’Associazione “Casa Di Vittorio” e con la Cgil provinciale, avvenne in un particolare momento storico per la Camera del Lavoro di Bari.

Presso il suo edificio era stata allestita l’abitazione del grande sindacalista con la sua famiglia. Ma proprio su di essa si svolse l’attacco violento dei fascisti, per cui nel tafferuglio dello scontro armato nacque Vindice, che, avvolto in una coperta, fu portato in salvo dalla mamma e da donne amiche. Dopo il respingimento dell’assalto squadrista la famiglia Di Vittorio riparò a Cerignola per alcuni anni e, infine, il nostro Peppino fu costretto a emigrare in Francia per sfuggire all’arresto dei fascisti. Intanto Vindice si laurea in chimica in Francia e in Italia, prenderà servizio presso l’Istituto Superiore di Sanità italiano, godendo della stima dei suoi collaboratori. Infine, si ammalerà di leucemia e di un’altra malattia incurabile che lo porterà a morte nel giro di pochi anni. Ancora oggi ci giunge la lezione dalla famiglia Di Vittorio che la democrazia non è un dono da dare per acquisito una volta per tutte, ma va sempre sorvegliato e conquistato di continuo.