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La armi e i sistemi bellici made in Italy

«Su come e quanto contribuiscano le armi esportate dall’Italia al perdurare dei conflitti bellici, alla repressione degli oppositori di regimi autoritari e non in ultimo al fenomeno migratorio» è il focus dell’analisi di partenza dell’incontro di domani sera 30 marzo (alle 18 presso il Circolo dei Lettori di Torino in Via Bogino 9), nato dalla collaborazione tra il nostro giornale, l’Ordine dei giornalisti del Piemonte e la Casa editrice Seb27.

Un momento di confronto (e fonte di crediti professionali per giornalisti) promosso per rispondere ad alcune domande, quali: perché il settore Difesa è considerato strategico e quanto contribuisce al Pil e all’occupazione? Perché l’export delle armi avviene spesso in spregio delle leggi nazionali, delle direttive europee e delle convenzioni internazionali?

Per parlarne tre relatori d’eccezione, Futura D’Aprile, esperta di Affari Internazionali e in armamenti e collaboratrice del quotidiano Domani; Alberto Perduca, ex Procuratore capo di Asti, legal officer presso i Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia e poi nell’agenzia antifrode di Bruxelles Olaf, e capo della missione Eulez, moderati da Davide De Michelis, giornalista professionista, autore e regista di documentari televisivi.

Futura D’Aprile è tra l’altro autrice del libro Crisi globali e affari di piombo (Seb27), volume nel quale presenta una panoramica sull’industria italiana della Difesa, sulle leggi preposte a regolare il commercio di materiale bellico e sulla consuetudine di aggirarle. Un’analisi «per comprendere come e quanto contribuiscono le armi esportate dall’Italia al perdurare dei conflitti bellici, alla repressione degli oppositori di regimi autoritari e non in ultimo al fenomeno migratorio». Per conoscere «le voci di chi è contro l’export delle armi made in Italy, che spesso avviene in spregio delle leggi nazionali, direttive europee e convenzioni internazionali». Quello delle armi è un business mai in declino in Italia come nel resto del mondo: «I suoi profitti crescono sia durante i conflitti geo-politici, sia in caso di crisi economiche, come quella causata dalla pandemia da Covid-19. Lo Stato, considerando strategico il settore della Difesa, lo sostiene e gli fa scudo per non esporlo alla volatilità del mercato. L’inasprirsi del conflitto bellico ai margini dell’Unione Europea ha spronato i parlamenti a votare deroghe all’export in zone di guerra e l’innalzamento delle spese militari, cosicché mentre in Ucraina, come in Yemen o in Libia i civili subiscono le terribili conseguenze della guerra, i profitti delle holding di tutto il mondo continuano indisturbati la loro scalata».