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«Questione migranti» tra percezione e realtà

Mentre domani a Cutro l’Italia (grazie all’iniziativa del Tavolo Asilo) chiederà giustizia per l’ennesima tragedia in mare (appuntamento al quale prenderanno parte associazioni umanitarie, per i diritti umani e chiese, tra le quali la Federazione delle chiese evangeliche in Italia – Fcei), l’Europa s’interroga sulle politiche d’accoglienza. L’attenzione mediatica e politica italiana guarda con maggior vigore all’esperienza dei Corridoi umanitari, progetto pilota in Europa – oggi realtà consolidata – innescata dalla Fcei insieme alla Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese nel febbraio 2016 (poi attuata da altre organizzazioni e chiese) che, ad oggi, ha permesso l’arrivo in Italia a oltre cinquemila persone dal Libano, dalla Siria, dalla Libia, Giordania, Afghanistan, e da altre aree critiche: «La percezione sociale dell’immigrazione è molto sopravvalutata, in Italia i cittadini la quadruplicano rispetto alle cifre ufficiali, pensando che la quota di stranieri presenti sul territorio sia pari al 30% mentre è appena del 7%», scrive Mirko Benedetti sul sito dell’Osservatorio giornalistico europeo, (https://it.ejo.ch/giornalismi/data-journalism-migrazioni) European Journalism Observatory.

Si tratta, prosegue Benedetti, «di una discrepanza tra percezione e realtà del fenomeno migratorio pari a 23 punti percentuali, un dato che colloca l’Italia in testa a una graduatoria di 14 Paesi (Pagnoncelli 2016). Questa prospettiva falsata, rischia di generare una serie distorsioni informative, che possono nuocere al dibattito pubblico sul fenomeno migratorio. In questo scenario – rileva Benedetti – appare cruciale il ruolo del giornalismo nella costruzione di un’opinione pubblica correttamente informata. La qualità della copertura mediatica in materia di immigrazione, tuttavia, è tramata di luci e ombre. Infatti, da una parte non mancano le buone pratiche, come quelle riconosciute nell’ambito di premi giornalistici ad hoc, tra cui il Lorenzo Natali e il Giuseppe De Carli. Altrettanto rilevanti sono le iniziative nel campo della formazione dei giornalisti, volte a sensibilizzare la categoria professionale sulle criticità che possono compromettere la corretta informazione sul tema. Si segnalano iniziative positive anche sul versante deontologico.
Tra queste, spicca la Carta di Roma (che vede la Fcei nel direttivo e membro fondatore, ndr), confluita nel Testo unico dei doveri del giornalista, che sollecita gli organi d’informazione a evitare sia “la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti” sia “comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati”.

A fronte di queste incoraggianti evidenze tuttavia, l’informazione in tema d’immigrazione continua a risentire di alcune criticità – prosegue Benedetti -. Tra queste, la tendenza a parlare di stranieri soprattutto per fatti di cronaca e, solo residualmente, in relazione a temi riguardanti integrazione, lavoro e società (Binotto, Bruno, Lai 2013). Persiste anche il fenomeno della “etnicizzazione della notizia” (Paolo Barretta 2019), per cui i media tendono a sottolineare in modo discriminatorio la nazionalità dei migranti nei fatti di cronaca. Per effetto della “politicizzazione della notizia” (Miletto, Tallia 2021), inoltre, il coverage mediatico dei migranti tende a non cogliere la complessità del tema, polarizzandosi invece in modo riduttivo tra posizioni “pro” e “contro”».

Da molti anni, infatti, gli immigrati «hanno costituito un riferimento del dibattito politico e mediatico. Due piani che s’incrociano, inevitabilmente, perché il dibattito politico ha bisogno dei media, per orientare il “pubblico”», afferma Ilvo Diamanti nel Rapporto (sostenuto grazie ai fondi dell’Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi, ndr) annuale della Carta di Roma «Notizie dal fronte» (https://www.cartadiroma.org/wp-content/uploads/2022/12/Notizie_dal_fronte_XRapportoCdR-1.pdf).

«Ossia – precisa Diamanti, gli “elettori”, che, ormai da tempo coincidono. Largamente. Perché gli “elettori” sono il “pubblico” a cui rivolgersi per costruire il consenso. Per ottenere e aumentare l’audience. E i voti. Gli immigrati, infatti, hanno dato un volto alla nostra insicurezza e alle

nostre paure. Protagonisti di uno “spettacolo permanente” che, per molto tempo, ha garantito ascolti. E consensi. Fino a ieri. Perché oggi il clima d’opinione sta cambiando, come mostrano le ricerche condotte dall’Associazione Carta di Roma. La relazione fra insicurezza, migrazione e comunicazione ha, infatti, funzionato fino alla fine dello scorso decennio. Quando migranti e migrazioni hanno influenzato il clima politico e d’opinione. Infatti, il picco più elevato di presenza sui media e di coinvolgimento emotivo intorno all’arrivo degli immigrati, negli ultimi recenti, si osserva negli anni fra il 2017 e il 2018. Nella precedente stagione elettorale. Una tendenza che riemerge negli ultimi mesi. […] La media giornaliera dei titoli dedicati ai migranti e alle migrazioni, infatti, si è ridotta a meno di un terzo, rispetto al 2018. E il grado d’insicurezza generato da questo tema è, sua volta, sceso sensibilmente, per quanto in ripresa, rispetto agli ultimi mesi».

Oggi si parla molto di Corridoi umanitari, l’impennata mediatica è arrivata dopo l’ultima grande tragedia in mare – che si doveva evitare – di Cutro, preceduta dal pacchetto di provvedimenti definiti «per la sicurezza» che hanno ulteriormente complicato le azioni di soccorso in mare, allungato i tempi di ogni salvataggio e costretto le navi a lunghe navigazioni per raggiungere i porti assegnati: «In questo quadro – ha ricordato il politologo Paolo Naso nella rubrica «Essere chiesa insieme» del Culto evangelico di Radio1 (https://www.raiplaysound.it/programmi/cultoevangelico) -, i Corridoi umanitari promossi anche dalle Chiese evangeliche italiane indicano una strada importante, avvalorata dalle recenti dichiarazioni della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che li ha citati come un asse strategico delle politiche europee dell’immigrazione. Ma attenzione – prosegue Naso -, i Corridoi umanitari per qualche migliaio di persone non possono essere l’alibi di un’Europa che costruisce muri e chiude le frontiere. Se devono diventare un asse strategico delle politiche europee dell’immigrazione, gli attuali numeri dei Corridoi umanitari devono aumentare significativamente. Allo stesso tempo, occorre comunque rafforzare i dispositivi di soccorso in mare, almeno finché i canali migratori ordinari non renderanno inutili le migrazioni irregolari».