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Imparate a fare il bene; cercate la giustizia

Il primo capitolo del libro del profeta Isaia farà da filo conduttore della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2023, preparata dalle chiese del Minnesota (Usa). L’appello a imparare a fare il bene e a cercare la giustizia (Is 1, 17) che il Signore, attraverso il profeta, rivolse al popolo eletto circa 2700 anni fa rimane più che mai attuale anche nella nostra era. Isaia profetizzò nel regno di Giuda durante l’VIII secolo a.C. e fu contemporaneo di altri antichi profeti come Amos, Osea e Michea. Quello fu un periodo di grande prosperità economica per i regni di Israele e di Giuda a causa del momentaneo declino dell’Egitto e dell’Assiria, che erano le due “superpotenze” dell’epoca. Pur tuttavia, era anche un periodo in cui in entrambi i regni dilagavano l’ingiustizia, la disparità e le disuguaglianze.

Ecco allora che Isaia, ispirato dal Signore, intervenne per cercare di risvegliare la coscienza del popolo di Giuda, affinché si confrontasse con le incongruenze della propria realtà sociale, caratterizzata da una zelante religiosità che entrava in collisione con una prassi fatta di egoismo, di sopraffazione e di violenza.

Il profeta si pronuncia contro i capi corrotti e a favore degli svantaggiati. Egli denuncia le strutture politiche, sociali e religiose del regno di Giuda e smaschera anche l’ipocrisia del popolo stesso che, mentre offre sacrifici al Signore, non si preoccupa dei poveri e degli indifesi. Il linguaggio di Isaia contro una religiosità fine a se stessa è molto esplicito e diretto, chiaro e inequivocabile. Egli manifesta il duro rimprovero di Dio contro il popolo senza avere peli sulla lingua. Il Signore, infatti, dice attraverso la voce del profeta: «Smettete di portare offerte inutili; l’incenso io lo detesto… L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite… Quando stendete le mani, distolgo gli occhi da voi» (Is 1, 13-15). Isaia si fa dunque portavoce di un Dio che s’indigna contro il suo popolo e lo fa senza girarci troppo attorno per cercare di attenuare il rimprovero, ma chiamando il male per nome.

Il profeta fa emergere tutta l’incoerenza del suo popolo che, anziché vivere una vita in conformità alla propria fede, rende un culto al Signore che non si traduce in ubbidienza alla sua Parola, finendo per separare la dimensione religiosa da quella mondana e dividendo la fede, fatta di riti, dall’esistenza ordinaria; la liturgia dalla giustizia; la preghiera dalle opere. Egli respinge la contraddizione nella quale il popolo vive, glorificando il nome del Signore nel culto e diffamandolo tramite una condotta di vita quotidiana fatta di opportunismo e di sopraffazione. Oggi diremmo in termini psicologici che Isaia denuncia la schizofrenia del popolo, che ha tagliato in due parti la propria esistenza, rendendo al Signore un culto molto zelante e devoto, ma conducendo poi una vita sociale all’insegna dell’egoismo e della corruzione.

Ma non è forse anche questo uno dei peccati nei quali anche il cristianesimo è più volte incappato nella propria storia..? Quante volte anche noi cristiani abbiamo vissuto o ci ritroviamo a vivere in questa schizofrenia tra culto rituale e responsabilità etica..? Durante il nazismo, di fronte a una chiesa che appoggiava l’ideologia nazionalsocialista, fu per esempio il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer a denunciare questa schizofrenia, scrivendo: «Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo». La storia mostra che, invece di riconoscere la dignità di ogni essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio, noi cristiani ci siamo lasciati coinvolgere in strutture di peccato come la schiavitù, la colonizzazione, il nazionalismo, le dittature, la segregazione e l’apartheid, che hanno privato gli altri esseri umani della loro dignità, alimentando oppressione, povertà, discriminazione, xenofobia, razzismo.

Non possiamo, però, separare la nostra fede in Cristo dal nostro atteggiamento verso il genere umano e in particolar modo verso quelli considerati «più piccoli» (Mt 25, 40) con i quali Gesù stesso si è immedesimato. Come cristiani appartenenti a diverse confessioni, siamo chiamati a vivere la nostra fede non solo nelle nostre chiese, ma anche e soprattutto nel mondo, impegnandoci a «imparare a fare il bene, cercare la giustizia e aiutare gli oppressi». A prescindere dalle nostre diversità, attraverso il nostro comune impegno a cercare la giustizia di Dio e a praticarla, potremo offrire al mondo una concreta testimonianza che veda le nostre chiese unite nel servire lo stesso nostro Signore Gesù Cristo sotto l’azione dello Spirito Santo.

Al di là della molteplicità delle forme con le quali rendiamo il culto allo stesso Signore, la Parola di Dio espressa dai profeti e pienamente incarnata in Cristo ci esorta oggi a manifestare la nostra fede non solo nelle nostre chiese, ma anche nel mondo, dove potremo esprimere la nostra collaborazione ecumenica nel nostro impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In questo modo le diversità dottrinali che permangono tra di noi a livello confessionale non saranno più vissute nella reciproca esclusione, ma nell’incontro fraterno, diventando una fonte di arricchimento reciproco. Pregare insieme per l’unità dei cristiani ci permette appunto di riflettere su ciò che ci unisce e di impegnarci a combattere contro ogni forma di oppressione per testimoniare al mondo il regno e la giustizia di Dio.

Che il Signore ci aiuti dunque a guardare oltre i nostri confini denominazionali per venirci incontro gli uni gli altri e per riconoscerci come fratelli e sorelle che hanno ricevuto dal Signore una comune vocazione ad annunciare la sua Parola e ad essere discepoli e discepole di Gesù Cristo nel nostro tempo che si assumono la responsabilità di portare il Vangelo a ogni creatura, senz’aver paura di farci carico della croce che la testimonianza cristiana potrà comportare, ma nella piena fiducia che il Signore risorto sarà con noi per guidare i nostri passi e per sostenere la nostra missione cristiana in questo mondo.

“Ascoltate la parola del SIGNORE, capi di Sodoma! Prestate orecchio alla legge del nostro Dio, popolo di Gomorra! «Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici?», dice il SIGNORE; «io sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di bestie ingrassate; il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri, io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di contaminare i miei cortili? Smettete di portare offerte inutili; l’incenso io lo detesto; e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni, io non posso sopportare l’iniquità unita all’assemblea solenne. L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre feste stabilite; mi sono un peso che sono stanco di portare. Quando stendete le mani, distolgo gli occhi da voi; anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova! Poi venite, e discutiamo», dice il SIGNORE; «anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana. Se siete disposti a ubbidire, mangerete i frutti migliori del paese” (Isaia 1, 10-19).