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Il Decreto legge del governo sulle Ong contestato sul piano giuridico

In Italia al 23 dicembre sono state 101.127 le persone migranti sbarcate sulle nostre coste, in fuga, è bene ricordarlo sempre, da guerre, carestie, mutamenti climatici, situazioni socio-economiche drammatiche.
Le navi delle Organizzazioni non governative hanno tratto in salvo poco più di 14.000 persone, pari a circa il 14% del totale degli arrivi. Un ruolo importantissimo, fosse anche per salvare una vita soltanto, ma evidentemente non particolarmente significativo rispetto al numero totale. Tutti gli altri giungono in autonomia su barchini vari o vengono recuperati dalle navi della Guardia Costiera nazionale. Eppure ancora una volta le Ong finiscono nel mirino del governo (a prescindere dalle maggioranze del momento), accusate di rappresentare un fattore che invita alle partenze dalle coste africane, capro espiatorio per le cancellerie di tutta Europa che da anni si rimbalzano le responsabilità di una seria politica di gestione di flussi e accoglienza. Uno stallo che ha fatto del Mediterraneo il più grande cimitero del mondo. Solo lo scorso anno altri 2000 morti, un’ecatombe intollerabile.

Le priorità in materia sarebbero dunque molte, ma l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha scelto di concentrarsi sulle Ong, dedicando a una nuova regolarizzazione dei loro interventi il primo decreto-legge del 2023, con l’obiettivo dichiarato di contrastare la cosiddetta immigrazione clandestina. La stessa premier durante la conferenza stampa di fine anno ha ribadito che la nuova norma nasce per «far rispettare il diritto internazionale alle Organizzazioni non governative». Un esercito di giuristi sta invece dicendo a gran voce che è proprio il neo-decreto a non rispettare direttive internazionali e nazionali a cui la norma deve essere subordinata e armonizzata.

Almeno tre sono le Convenzioni internazionali con cui appare già in contrasto: quella di Ginevra, che rappresenta la base del diritto internazionale umanitario sul fronte del principio di “non-respingimento” verso luoghi in cui la persona sarebbe a rischio per la propria incolumità; quella di Amburgo, dedicata alla ricerca e salvataggio in mare, che prevede fra l’altro l’obbligo del soccorso di persone in difficoltà e che pare cozzare con la parte di decreto che impone alle navi, una volta effettuato il primo salvataggio, di dirigersi prioritariamente verso il porto di sbarco assegnato, costrette in sostanza a ignorare eventuali nuove richieste di aiuto; infine la famigerata europea Convenzione di Dublino, che determina lo Stato membro competente a esaminare una domanda di asilo e riconoscere lo status di rifugiato, ambito che il nuovo decreto vorrebbe addirittura di competenza del capitano della nave, non certo in possesso delle specifiche competenze professionali in ambito di protezione internazionale.

L’obbligo di soccorso imposto dal diritto internazionale è norma di rango superiore e non può essere derogata da una disciplina interna volta a limitare i soccorsi stessi. Non servirebbe aggiungere molto. Se non riprodurre l’articolo 10 della nostra Costituzione. I Costituenti, reduci da vent’anni di dittatura fascista in cui lo straniero era diventato il capro espiatorio per ogni accusa, scelsero di inserire fra i Principi Fondamentali del testo il rispetto e la protezione dell’altro da noi, per sottolineare con chiarezza l’auspicio dell’avvio di un’era nuova. Ecco il testo:
«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

Il decreto sarà quindi in sostanza inapplicabile: si aprirà una nuova stagione di porti non assegnati, stalli, rimbalzi di responsabilità e di sentenze dei tribunali di turno, intasati da nuove cause in materia. Altro tempo perso, altro fumo negli occhi. Sui limiti al contante e sui pagamenti elettronici, in generale sulle questioni economiche le reprimende di Bruxelles hanno obbligato l’esecutivo a repentini dietrofront. Il tema migratorio è considerato invece ancora, non senza cinismo, ambito in cui vivere di slogan e ideologia, perché ognuna delle parti in causa, singoli Stati e Unioni Europea, sa di avere molti scheletri nell’armadio. Ancora una volta l’Europa che invecchia e vede diminuire la propria forza lavoro perde l’occasione, perde tempo per affrontare in maniera strutturale una materia che definire emergenziale appare oramai inaccettabile.