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Sempre drammatica la situazione nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo

Il 20 dicembre due comunicati, rispettivamente uno del Quai d’Orsay e l’altro delle Nazioni Unite, hanno portato un “aggiornamento” sulla drammatica situazione nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RdC).

Dal governo francese un forte richiamo al governo ruandese affinché si adegui e rispetti le consegne degli accordi di Luanda e di Nairobi. Accordi con cui si sarebbe dovuto porre termine agli scontri armati (ripresi circa un anno fa) nel Nord Kiwu.

In sostanza il Ruanda dovrebbe «smettere di fornire sostegno ai ribelli di M23», il movimento armato i cui legami con Kigali vengono – forse per la prima volta – esplicitamente denunciati da Parigi. 
 
Sicuramente quella di Macron è una presa di posizione differente rispetto alle politiche (più “morbide”) adottate dai suoi predecessori.
 
Come del resto si era intuito dalla costituzione della Commissione Duclert per fare luce sul ruolo e sulle responsabilitàdella Francia all’epoca del genocidio dei Tutsi (1994). Nel rapporto finale si prende atto di «un insieme di responsabilità pesanti e di grandi dimissioni» da parte di Parigi.
 
Inoltre va ricordato che il problema di M23, se pur in maniera meno formale, era già stato affrontato l’anno scorso in occasione del viaggio in Ruanda del presidente francese.
 
Nella dichiarazione del 20 dicembre, per voce di Chrysoula Zacharopoulou, si afferma decisamente che «la Francia condanna il sostegno fornito dal Ruanda al gruppo armato M23».
Con qualche ulteriore considerazione, meno polemica, sulla presenza militare ruandese nella zona di Capo Delgado (in Mozambico, per contrastare le milizie jihadiste). Dove si va realizzando un progetto di sfruttamento dei giacimenti di gas da parte dell’azienda francese Total.
 
In qualche modo la dichiarazione francese rappresentava l’anticipo di un rapporto – annunciato da tempo – degli esperti delle Nazioni Unite in merito alla situazione nella RdC.
Un rapporto da cui emergono «prove schiaccianti» dei legami tra M23 e Kigali.
Permangono invece molti dubbi su quale posizione prenderà Londra. Soprattutto pensando ai controversi accordi con Kigali in base ai quali il Ruanda dovrebbe «accogliere» i migranti sbarcati in Gran Bretagna illegalmente. Ospitandoli in attesa della verifica delle loro domande d’asilo.

Pur rammaricandosi di quanto fosse tardiva, tale dichiarazione è stata accolta con favore dal governo della RdC (così come era stata apprezzata anche quella più morbida, non di aperta condanna, emessa in novembre dal Parlamento europeo). Spingendosi tuttavia – attraverso un intervento di Patrick Muyaya (ministro congolese della Comunicazione) – ben oltre e chiedendo «condanna, sanzioni, giustizia e riparazione» per quanto è avvenuto e avviene in questa parte del territorio nazionale.

Sempre il 20 dicembre all’ONU si è votato per il rinnovo del mandato della missione di mantenimento della pace, la Monusco. Contemporaneamente, a sorpresa,venivano tolte le sanzioni sull’invio di armi nella RdC. Una decisione ben accolta a Kinshasa in quanto cancella la regola in vigore dal 2003 per cui ogni invio di armi avveniva solo previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Qualche mese fa, in giugno, la RdC aveva chiesto la soppressione di tale norma, percepita come indebita ingerenza, in quanto avrebbe impedito a Kinshasa di agire efficacemente nel nord Kiwu contro le milizie ribelli.
Richiesta appoggiata da Francia, Cina, Russia e diversi paesi africani, ma – all’epoca – bocciata da Londra e Washington.

È facile prevedere che i nuovi scenari non contribuiranno a migliorare le relazioni tra Kinshasa e Kigali, già alquanto deteriorate. Alla fine di ottobre veniva espulso l’ambasciatore ruandese, Vincent Karega, in quanto il presidente congolese (Félix Tshisekedi) voleva mostrare all’opinione pubblica quali fossero i veri «responsabili dell’instabilità del nord est». Nel comunicato ufficiale tale drastica decisione si giustificava con «la persistenza del suo paese ad aggredire la Rd del Congo, con l’invio massiccio di elementi dell’esercito ruandese a sostegno del gruppo ribelle M23». Una mossa quella di Tshisekedi forse non del tutto disinteressata, in vista delle prossime elezioni (previste per dicembre 2023).

Da parte sua il Ruanda rispondeva per le rime: «È deplorevole che il governo della Rd Congo continui ad addossare al Ruanda la responsabilità dei propri fallimenti in termini di governance e di sicurezza».

In realtà se ormai da decenni persistono contenziosi e conflitti tra il Ruanda e la Rd C questo dipende soprattutto dalla irrisolta questione delle tre regioni contese: Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu. Con le loro cospicue risorse minerarie e forestali (su cui vorrebbero allungare le mani anche l’Uganda e in parte la Cina). Alimentando la presenza di quasi un centinaio di gruppi armati, alcuni apertamente criminali, altri ricoperti di qualche giustificazione identitaria o ideologica.