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Dall’obiezione di coscienza al Servizio civile: un viaggio lungo cinquant’anni

 

Il 15 dicembre si celebra la giornata nazionale del servizio civile universale. Come è stato ricordato da Riforma nei giorni scorsi, quest’anno nella medesima data ricade il cinquantenario dalla prima legge in Italia sull’obiezione di coscienza. L’accostamento non è casuale dato che l’istituto del servizio civile è figlio di un lungo percorso che pone le sue basi proprio in quelle prime azioni non violente di chi pensava che il servizio militare non fosse l’unico modo – o fosse quello sbagliato – di difendere il proprio paese e i propri concittadini.

Un po’ di storia: come si è detto, nel 1972 viene approvata la legge n. 772 «Norme in materia di obiezione di coscienza», che decreta il diritto all’obiezione per motivi morali, religiosi e filosofici, istituendo un servizio alternativo a quello militare; era una legge importante ma che poneva forti limitazioni a chi sceglieva il nuovo percorso: rigide procedure per dimostrare la propria obiezione, un servizio più lungo, ripercussioni sulle proprie scelte di vita future. Nel 1989 la Corte Costituzionale emana una sentenza che finalmente parifica la durata dei due servizi, cosa alla quale seguirà un incremento del numero di obiettori. È del 1998 invece una prima vera a propria legge completa sul servizio civile, la numero 230/98, con la quale viene creato l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile (sotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri) che prende le funzioni di coordinamento, prima di allora facenti capo al Ministero della Difesa.

Il successivo passaggio è stata la sospensione della leva obbligatoria del 2000 a cui è seguita, nel 2001, la legge n. 64/01 che istituiva il Servizio civile nazionale, aprendolo a chiunque – ragazzi e finalmente anche ragazze! – intendesse intraprendere percorsi di impegno sociale, civico o culturale all’interno di enti del terzo settore; questi ultimi mettevano a loro disposizione il proprio bagaglio di competenze e attività strutturate: una forma di cooperazione tra pubblico (lo Stato) e privato sociale assai virtuosa e che ha permesso negli anni a centinaia di migliaia di giovani di crescere e formarsi. Venendo ai giorni nostri, è del 2017 il Decreto Legislativo 40 che trasforma Servizio Civile da “nazionale” a “universale” con l’intenzione – purtroppo più nel nome che nei fatti – di permettere a qualsiasi giovane che ne faccia richiesta di poter partecipare a questo percorso, i cui posti messi a disposizione annualmente sono però tuttora inferiori alle domande di partecipazione.

 

Questo lungo viaggio ha visto le chiese protestanti prima partecipare – e ogni tanto guidare – il dibattito sull’obiezione di coscienza, sul pacifismo, sulle azioni di difesa non violente che ciascun cittadino può mettere in pratica, per poi impegnarsi concretamente accogliendo nelle proprie opere sociali decine, se non centinaia, di giovani obiettori. Con la creazione del Servizio civile nazionale del 2001 c’è stata poi la possibilità di istituzionalizzare tale impegno, quando la Diaconia valdese si è iscritta all’albo degli enti accreditati. Da allora il numero di sedi attive a volontari/e impegnati è cresciuto costantemente e oggi la Diaconia valdese fa da ente capofila per diverse opere e servizi delle chiese protestanti italiane, impiegando ogni anno circa 50 volontari e volontarie in tutta Italia. Tali enti partecipano al Servizio civile non tanto per “avere volontari” quanto perché credono nell’importanza di tale istituzione, perché, come riportato per esempio nell’atto 75 del Sinodo del 2009: «La testimonianza delle chiese si realizza anche adoperandosi per la formazione delle nuove generazioni e il servizio civile rappresenta un ponte per molti giovani verso il mondo del lavoro, dell’impegno sociale e la presa in carico delle responsabilità».

Cinquanta lunghi anni in cui molto è cambiato: sono cambiate certamente le premesse di molti giovani per decidere di svolgere il servizio civile; sono stati modificati i diritti e doveri dei/delle volontari/e; sono certamente differenti gli enti che li ospitano così come le modalità con cui vengono proposte e quindi svolte le attività. Non dovrebbero però essere dimenticate le radici del servizio civile che hanno permesso di mantenere un’istituzione non intesa come una delle tante forme di welfare giovanile, di percorso di formazione o di anno di passaggio, ma quale momento di formazione delle giovani generazioni verso la cultura della pace e della nonviolenza, quindi verso un’altra forma possibile di difesa e di aiuto del prossimo, completamente alternativa a quella veicolata dai valori militari. Allo stesso tempo questo percorso conduce anche i volontari alla consapevolezza di essere attori nella vita pubblica e che le proprie scelte, oltre che avere ricadute su loro stessi, influiscono positivamente sulla comunità tutta: i giovani diventano cittadini attivi. Per questo è importante che l’istituto si fondi sull’universalità, e quindi sulla possibilità per tutti/e di fare questa scelta in maniera consapevole, più che sull’obbligatorietà, che rischierebbe di trasformarlo in una poco coinvolgente “naia sociale”, intesa quasi come un percorso forzato alla cittadinanza.

In questi giorni è in uscita il nuovo bando per la candidatura di giovani tra i 18 e i 28 anni, che vedrà il più grande numero di posti messi a disposizione da sempre – più di 71.000! – e con il quale la Diaconia valdese e i suoi partner dovranno selezionare 61 operatori e operatrici volontari/e per le proprie strutture di assistenza ed educazione: 28 in Piemonte, 15 in Toscana, 10 in Sicilia, 4 in Lombardia e 4 nel Lazio. È il momento giusto di informarsi per i/le giovani che in questi difficili tempi di guerra e crisi sociale pensano che sia importante essere d’aiuto; e, perché no, di decidere di intraprendere un progetto dalla storia e dai valori così radicati in ciò in cui crediamo. È il momento di continuare la lotta per quei valori per cui hanno combattuto i ragazzi di 50 anni fa e anche se ora si declinano in maniera diversa, l’origine sta sempre nella convinzione che il dialogo, il confronto e la solidarietà mettano le basi per una società più giusta e partecipata.