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Perché non vi racconteremo il mondiale in Qatar

Più di 6.500 lavoratori migranti provenienti per lo più da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando, 10 anni fa, lo Stato della penisola arabica ha ottenuto il diritto di ospitare la Coppa del Mondo di calcio, a seguito di una votazione che inchieste giornalistiche e tribunali hanno certificato come un pozzo nero di corruzione.

Negli ultimi 10 anni, il Qatar ha intrapreso un programma di costruzione senza precedenti, in gran parte in preparazione del torneo di calcio del 2022. Oltre a sette nuovi stadi, sono stati completati o sono in corso decine di progetti importanti, tra cui un nuovo aeroporto, strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel e una intera nuova città, che ospiterà la finale della Coppa del Mondo.

Per sostenere questa impresa enorme la piccola nazione ha avuto bisogno di ingente manodopera proveniente dall’estero – si stimano in circa 2 milioni i lavoratori migranti – a fronte di una popolazione residente di meno di 3 milioni di persone.

Dietro le statistiche si nascondono innumerevoli storie di famiglie devastate che sono rimaste senza la loro principale fonte di reddito, le rimesse di questi uomini costretti a lavorare in condizioni inumane; sono infatti i collassi e gli infarti dovute alla fatica patita sotto temperature estreme le principali cause dei decessi. 

Per tacer del fatto che per lavorare nei cantieri qatarini gli operai hanno dovuto pure sborsare una sorta di tassa di reclutamento. Pagare per andare a morire, nella speranza di garantire un tozzo di pane a chi è rimasto a casa ad attendere.

Il calcio è passione ovunque nel mondo e la Fifa ne è il gran burattinaio. Avrebbe dovuto tenere conto al momento dell’assegnazione che il Qatar ha molti passi da compiere in tema dei diritti delle minoranze, delle donne, delle comunità Lgbtq, nei diritti del lavoro, nella libertà di associazione e di stampa. Fiumi di denaro hanno fatto voltare lo sguardo da un’altra parte, nel silenzio complice dell’intero movimento, spezzato quà e là da qualche appello di qualche giocatore di seconda o terza fascia. Manca la voce delle grandi star del football, ma purtroppo sono anche loro parte integrante di un sistema malato.

 In questa maniera il regime di Doha avrà invece una enorme vetrina internazionale. Il precedente del mondiale argentino del 1978 in piena dittatura, fra desaparecidos e voli della morte, è lì a dimostrare che la storia non insegna nulla, tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto.

Piccola nota: i più decisi oppositori del mondiale in Qatar si sono dimostrati i tanto famigerati ultras, i tifosi organizzati, che chiedono di boicottare la competizione perché hanno colto benissimo quanto in nome del dio denaro siano stati calpestati valori di ben altra portata. 

Per questi motivi abbiamo scelto di non parlare del mondiale in Qatar sul nostro giornale. Un modo modesto e limitato di denunciare queste ingiustizie, di cui invece continueremo a parlare. Come ha scritto il direttore del giornale francese “Christianisme aujourd’hui” David Métreau, che ha annunciato una scelta simile, «il tempo risparmiato non guardando queste partite potrebbe essere speso pregando e chiedendo giustizia per questi “miserabili oppressi” e “poveri che gemono”, perché, dice il Signore “Per l’oppressione dei miseri, per il grido d’angoscia dei bisognosi, ora mi ergerò” (Salmo 12,5)».