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Brasile: l’elettorato religioso è fondamentale nella campagna di ballottaggio

A dieci giorni dal ballottaggio delle elezioni presidenziali brasiliane, gli analisti mettono in guardia dai pregiudizi nei confronti degli elettori religiosi, che saranno fondamentali per definire le elezioni in un Paese in cui più della metà della popolazione ritiene che politica e religione non siano questioni separate.

Durante la prima fase della campagna elettorale, Luiz Inácio Lula da Silva, leader del Partito dei Lavoratori (PT) ed ex presidente si è concentrato sulle proposte economiche e Jair Bolsonaro, presidente in carica, ha confermato il mantenimento del sussidio Auxilio Brasil – eccezionale a causa della pandemia – e la riduzione del prezzo del carburante.

Sebbene questi temi non siano scomparsi dopo il primo turno del 2 ottobre, le posizioni e le accuse sui “valori”, sulle questioni morali e religiose si sono intensificate in vista del ballottaggio del 30 ottobre.

«Non parlano di economia o di piani di governo, ma di un programma morale. Si tratta di questioni importanti perché negli ultimi 50 anni il Brasile sta vivendo una rivoluzione silenziosa, ovvero il passaggio da una confessione all’altra. È ancora il più grande Paese cattolico del mondo, ma tra dieci anni, secondo le proiezioni statistiche, diventerà protestante», ha spiegato l’etnografo brasiliano Juliano Spyer, autore del libro Povo de Deus (Il Popolo di Dio).

Parlando con Télam, l’Agenzia stampa nazionale argentina, il ricercatore ha detto che «è qualcosa che viene dal basso della società» perché il mondo evangelico, soprattutto pentecostale, ha un «volto nero, povero, periferico e per lo più femminile, e sono persone che si preoccupano della questione della moralità».

Per il politologo Ariel Goldstein, autore del libro Poder Evangélico, «Bolsonaro aveva già reso di moda queste discussioni nel 2018 e quest’anno lo slogan della campagna è “Dio, Patria, famiglia e libertà”».

Inoltre, «ora il PT sembra voler attaccare su questo stesso fronte; è interessato ad avvicinarsi a quell’elettorato, che è sempre più influente».

L’accademico ha sottolineato che «i leader delle principali chiese (evangeliche) sono più vicini a Bolsonaro», cosa che non si traduce necessariamente in un’indicazione di voto per i fedeli, ma «c’è una visione condivisa del mondo; sulla famiglia, sulla questione di genere, sull’aborto», che porta a «una maggiore affinità tra Bolsonaro e questi pastori».

La giornalista brasiliana Anna Virginia Balloussier, specializzata in religione e politica, concorda sul fatto che «tutti i grandi pastori evangelici sono con Bolsonaro», ma ha richiamato l’attenzione sulla loro capacità di adattamento, perché sono «dove c’è il potere».

«Hanno sempre trovato un modo per giustificare la loro alleanza con il governante al potere», ha spiegato la giornalista, responsabile del blog Religiosamente, pubblicato dal quotidiano Folha.

L’esempio più emblematico è quello del vescovo Edir Macedo, della Chiesa Universale, «che dal 1989, le prime elezioni dopo la dittatura, ha sostenuto tutti i governi».

Goldstein ha usato il concetto di “governisti” per alludere a questi allineamenti, anche se ha sottolineato che «il tipo di alleanza proposta da Bolsonaro è più seducente perché incorpora (nell’agenda del governo) questioni economiche come le esenzioni fiscali per le chiese».

Da parte sua, Balloussier ha tracciato una singolarità attuale: «Le chiese evangeliche stanno attaccando l’ex presidente Lula in modo così virulento e forte». E questo la spinge a chiedersi se questa capacità di adattarsi al potere del momento «continuerà se Lula vince» o se si tratta di una «rottura inevitabile e per la prima volta saranno avversari».

Per gli analisti, il dibattito sui “valori” è una sorta di scissione che riorganizza il campo politico e sociale, poiché non disegna un’opposizione tra due classi sociali, ma piuttosto un taglio trasversale tra di esse.

La distribuzione dei voti in base alla religione è stata analizzata in un sondaggio Datafolha pubblicato a settembre, secondo il quale Lula è in testa tra i cattolici (53% rispetto al 28% di Bolsonaro) mentre tra gli evangelici il quadro è quasi opposto. Lo stesso istituto ha pubblicato che per il 56% degli elettori religione e politica devono andare di pari passo e per il 60% è più importante che un candidato difenda i valori della famiglia rispetto alle proposte economiche.

Gli esperti hanno messo in guardia sulla mancanza di conoscenza del ruolo delle chiese, sulla sottovalutazione da parte di alcuni settori progressisti della popolazione credente e sulle conseguenze della presa di distanza da questi settori, che tendono ad essere la maggioranza.

Costoro «comprendono bene il ruolo della Chiesa evangelica nel tessuto sociale del Paese», ha detto ancora Balloussier, aggiungendo: «Occupano diversi posti che lo Stato non occupa. Sia nel recupero delle dipendenze, sia nelle case di cura, sia nell’istruzione. Certo, a volte si tratta di un’influenza perniciosa, ma sono un’importante fonte di assistenza».

Spyer, da parte sua, ha sottolineato che le chiese evangeliche formano «un gruppo molto ben organizzato» perché in queste zone, «dove non ci sono ospedali, stazioni di polizia, uffici postali, ce ne sono a decine».

Spyer ha citato ad esempio l’influenza “diretta” di queste chiese sulla diminuzione della violenza di genere, affrontando il consumo di alcol o la promozione della lettura, e ha aggiunto: «Non significa che le chiese non portino una serie di problemi al Paese o che non abbiano al loro interno violenza e maschilismo».

Balloussier ritiene che «c’è un chiaro pregiudizio a sinistra sull’elettore evangelico. Sono visti in modo accondiscendente, vittime di pastori senza scrupoli. Questo pregiudizio impedisce alla sinistra di raggiungerli».

Goldstein ha notato che molti pastori diventano «influencer sulle reti e hanno milioni di follower». Sono opinion leader e modelli di ruolo. Il successo economico viene incorporato come dimostrazione di essere stati scelti da Dio. Per la Chiesa cattolica e per papa Francesco è il contrario, dobbiamo cercare i poveri».

I settori progressisti e di sinistra dovrebbero tenere presente che «se oggi una persona su tre è evangelica, tra 20 anni saranno la metà», ha stimato, e questo renderà più difficile «disputare un’elezione maggioritaria senza dialogo con la religione», perché «un terzo degli elettori comunica in quel linguaggio». 

Adattamento da Telam Noticias