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Annunciare il Dio vivente, dovere assoluto per le chiese

«È fuori di dubbio che oggi, perlomeno nei paesi occidentali, il discorso su Dio, la nozione di Dio e la fede in Dio siano in crisi», scriveva nel 2004 André Gounelle nel suo libro Parlare di Dio (ed. italiana Claudiana, Torino 2006). Paolo Ricca con il suo libro Dio. Apologia* (Claudiana, Torino 2022) entra – in certo senso – in dialogo con il teologo riformato francese. Con grande rigore metodologico, Ricca cerca abbastanza lontano le radici della situazione descritta da Gounelle. Lo si evince dalle due citazioni iniziali: Voltaire e Nietzsche (pp. 27-28). Infatti, i primi dieci capitoli dell’opera (pp. 31-148) sviluppano in maniera ampia i fondamenti teorici dell’ateismo, dell’agnosticismo e della conseguente secolarizzazione.

A tal proposito è opportuno ricordare la cosiddetta “teologia della secolarizzazione” elaborata nel 1965 da Harvey Cox nel suo celebre saggio The Secular City. Secondo il teologo di Harvard, anziché lottare contro la secolarizzazione – impresa impossibile – le chiese devono interrogarsi sul proprio ruolo nella “città secolare”, a cui potrebbero del resto apportare un utile contributo – accettando modestamente un ruolo limitato, ma almeno salvandosi dalla totale scomparsa – attraverso un impegno di tipo prevalentemente sociale. Non ci sono dubbi che il protestantesimo storico (in Italia e altrove) ha accolto senza riserve le tesi di Cox, dimenticandosi però, che lo stesso Cox le ha revocate nel suo libro Fire from Heaven del 1995, mai tradotto in italiano.

Ricca propone una visione convincente dell’essere chiesa oggi. La chiesa ha il dovere assoluto di annunciare esplicitamente il Dio rivelato nella Bibbia e incarnatosi in Cristo Gesù. Bisogna riconoscere che il Dio rivelato nelle Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento è il Dio vivente. La citazione di Karl Barth (pp. 149-150) è alquanto indicativa: «Un Dio vivente, un Dio che è veramente Dio! Ti stupisci che qualcosa del genere sia mai possibile? Vedrai che dovremo stupirci ancora di più scoprendo quanto vivente Dio effettivamente è!» La seconda parte del libro (capitoli 11-14; pp. 153-212) è una brillante dimostrazione delle affermazioni di Barth.

Ritorniamo alla società odierna, che non è affatto ostile alle esperienze di natura spirituale e religiosa. Il vero problema è la confessionalizzazione del cristianesimo. Lo dimostra il sociologo Luca Diotallevi nel suo saggio Fine corsa. La crisi del cristianesimo come religione confessionale (Edizioni Dehoniane, Bologna 2017). Per una frazione di modernità che, a grandi linee, va dal Cinquecento ai nostri giorni, in una parte d’Europa il cristianesimo ha assunto prevalentemente una forma confessionale. Ciò ha suscitato strutture sociali e organizzazioni che amministrano i mezzi di salvezza, consentendo alla religione di fungere da “infrastruttura statale” e di contribuire alla definizione dell’identità pubblica e alla legittimazione del potere politico. Proprio la crisi di quella forma di cristianesimo può essere assunta come punto di partenza per comprendere il quadro attuale.

Di fronte a tale quadro Paolo Ricca pronuncia con convinzione la parola fede (capitoli 15-18, pp. 215-268). «La fede è, per sua natura, un fatto comunitario, e viene testimoniata e trasmessa da una generazione all’altra. Però, alla fine, la fede come il suo contrario, è anche e anzitutto un fatto altamente personale» (p. 215). La terza parte del libro è, infatti, una personale confessione di fede dell’autore. Senza negare la validità delle confessioni di fede classiche, è oggi vitale – per tutte le chiese cristiane – la capacità di pronunciare pubblicamente la propria confessione di fede. Una confessione fondata non tanto sugli antichi dogmi quanto su un fondamento biblico vissuto e declinato da donne e uomini credenti del nostro tempo. Questo è il senso più profondo del termine “apologia”. Una fede viva nel Dio vivente che entra in dialogo con le altre fedi. Il quarto capitolo dell’opera (capitoli 19-22, pp. 271-359) – che descrive in modo sintetico i concetti del divino propri delle principali religioni mondiali – è concepito come sussidio a tale dialogo.

Alla luce di quanto affermato finora, il libro di Paolo Ricca potrebbe sembrare un manuale accademico destinato alle studentesse e agli studenti di Teologia. Va da sé che tale uso non è escluso, anzi, è più che opportuno. Il vero valore dell’opera, tuttavia, non si esaurisce nell’ambito accademico. Sabina Baral e Alberto Corsani nel loro saggio Credenti in bilico. La fede di fronte alle fratture dell’esistenza (Claudiana, Torino 2020) hanno ricordato la dimensione concreta, esistenziale della fede. «Perché balbettiamo quando si tratta di spiegare al nostro vicino di casa in che cosa consiste la nostra fede? Perché ci sentiamo orgogliosi della nostra chiesa e del suo agire sociale, ma al contempo siamo titubanti nel dire che a muoverci è l’Evangelo?» – si interrogano gli autori. Il libro di Paolo Ricca è indubbiamente una risposta articolata e corposa a questa domanda.

* P- Ricca, Dio. Apologia. Torino, Claudiana, 2022, pp. 411, euro 24,50.

 

Foto di Sailko, Philippe De Champaigne, “Il Cristo morto steso sul suo sudario”, Museo del Louvre