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Libano, quel porto non più sicuro

Un nuovo rapporto di Save the Children, che opera nel Paese dal 1953, denuncia che le speranze dei rifugiati siriani in Libano stanno diminuendo a causa del persistere della povertà e della discriminazione. 

L’Organizzazione ha pubblicato un nuovo rapporto – «Orizzonti di speranza che si restringono: i rifugiati siriani alla ricerca di soluzioni durature dopo un decennio fuori dal paese» – che illustra la profonda perdita di speranza dei bambini siriani rifugiati in Iraq, Giordania e in Libano, dove vivono da anni e senza alcuna prospettiva. 

Il report rivela che in Libano «la crisi sta portando i rifugiati siriani a perdere la speranza e che, per questo motivo, il loro desiderio più grande è quello di trasferirsi in un Paese terzo. La disperazione li sta spingendo a intraprendere percorsi più rischiosi per assicurarsi la sopravvivenza. Le donne, in particolare, sperano di poter garantire l’accesso a un’istruzione di qualità per i loro figli perché imparino a leggere e scrivere. Tuttavia, il numero di posti messi a disposizione da altri Paesi al di fuori della regione rimane di gran lunga inferiore alle reali necessità: nonostante la valutazione di quasi 600.000 persone bisognose, il numero effettivo di posti non supera i 20.000 all’anno. Il Libano sta affrontando una delle peggiori crisi economiche che si ricordi. I dati del mese scorso hanno mostrato che il prezzo del pane è quadruplicato rispetto all’anno scorso. All’inizio di quest’anno, secondo l’Organizzazione, la metà dei bambini libanesi nel Paese – a parte la popolazione di rifugiati e immigrati – dipende dall’assistenza umanitaria per sopravvivere». Gli operatori di Save the Children in Libano temono che questa perdita di speranza spinga altre famiglie a intraprendere viaggi in mare mortali come quelli che hanno ucciso decine di bambini questo mese.

«Il Libano – si legge ancora – è entrato nel suo quarto anno di crisi innescata dal collasso economico, dalla paralisi del governo e dall’impatto dell’esplosione del porto. Queste crisi stratificate hanno creato un’emergenza umanitaria profondamente complessa, aggravata dal crollo dei servizi pubblici e dalla mancanza di reti di sicurezza sociale».

Per approfondire, l’ultimo Sguardo dalle frontiere pubblicato dall’Agenzia stampa Nev: «I Nakib, padre, madre e due figlie gemelle, sono una famiglia siriana che vive alla Casa delle culture di Scicli, in provincia di Ragusa. Sono arrivati in Italia a dicembre 2020 con un corridoio umanitario, nell’ambito del programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Mediterranean Hope. In Siria, il padre, Jamal (52), faceva l’ingegnere meccanico, la madre, Kaula (52), la dermatologa. La guerra li ha costretti a fuggire e a rifugiarsi in Libano con le figlie, Ebatullah e Khaula (14), ancora bambine»..