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Iran, continuano le proteste per la morte di Mahsa, che in realtà si chiamava Jina

Mahsa Amini aveva 22 anni e in realtà si chiamava Jina.​ Arrestata dalla polizia per un velo portato in maniera “scorretta” mentre si trovava nell’auto del fratello da cui si era recata in visita, è morta all’ospedale di Kasra (dove era giunta già in stato di morte cerebrale) a Teheran.

Mentre le autorità iraniane si giustificano parlando di improbabili «preesistenti problemi di salute» (evocando prima una presunta epilessia, poi problemi cardiovascolari), dalle lastre e altri esami al cranio della giovane curda emerge la conferma di quanto già si sospettava: Jina è morta a causa delle torture, delle percosse subite subito dopo l’arresto. In particolare quella che sembra una tomografia assiale computerizzata ha evidenziato fratture ossee, una emorragia e un edema cerebrale. Una fonte ospedaliera ha parlato di “tessuto cerebrale schiacciato, danneggiato da numerosi colpi”. Inoltre i polmoni erano ” pieni di sangue e non poteva più essere rianimata”.

Indignate manifestazioni di protesta si sono svolte ovunque in Iran, ma soprattutto nel Rojhilat (Kurdistan sotto amministrazione iraniana) dove scuole e negozi sono rimasti chiusi per lo sciopero generale. Alla testa dei cortei soprattutto le donne curde. Come detto in realtà si chiamava Jina (o anche Zhina) che significa “donna” (Jin) in curdo. Ma al momento di registrarla all’anagrafe il funzionario del regime, come in tanti altri casi, si era rifiutato e aveva imposto la sostituzione del nome curdo con quello di Masha.

Un evidente caso di colonialismo culturale che costringe milioni di curdi espropriati del loro stesso nome e costretti a portarne altri turchizzati (in Bakur), arabizzati o persianizzati (in Rojhilat). Intanto il bilancio dei primi giorni di manifestazioni di protesta si fa sempre più pesante. Sono almeno quattro i curdi uccisi dalla polizia (quelli finora accertati), un centinaio i feriti e decine quelli arrestati. In particolare a Saqqez, città natale di Jina Amini, i manifestanti hanno abbattuto molti simboli del regime. 

Le proteste si sono estese ad almeno altre 15 città dell’Iran, con i manifestanti che hanno bloccato il traffico, incendiato cassonetti e veicoli della polizia, lancianto pietre contro le forze di sicurezza e scandito slogan antigovernativi.

Nelle piazze le donne stanno bruciando il velo islamico e molte si stanno simbolicamente tagliando i capelli. È proprio la teocrazia ad essre messa in discussione in questi giorni, in un precedente quasi inedito anche a causa delle fortissime repressioni presenti nel Paese. Proprio stamane le autorità iraniane hanno comunicato di aver oscurato Instagram e Whatsapp: iniziano i tentativi di isolare i manifestanti e di impedire al mondo di vedere e conoscere cosa accade a Teheran e dintorni.