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Clima, ognuno faccia la sua parte

Ormai (quasi) tutti hanno capito che la responsabilità umana nel cambiamento climatico è fortissima, ma la tentazione è di lasciarsi prendere dal senso di impotenza: è qualcosa di troppo più grande di noi, che cosa possiamo fare? Innanzitutto, capire. Per esempio, capire che dinamiche così grandi sono sottoposte a numerose variabili. Ne parliamo con Sabrina Speich, climatologa, docente di Oceanografia e Scienze del clima alla École normale supérieure di Parigi, laboratorio di Meteorologia dinamica, che ci spiega che «il sistema climatico della Terra è un sistema complesso, con cinque componenti che interagiscono continuamente e attivamente tra loro: l’atmosfera (aria), l’idrosfera (acqua), la criosfera (ghiaccio e permafrost), la litosfera (strato roccioso superiore della Terra) e la biosfera (esseri viventi)». 

– Perché gli oceani sono determinanti nel cambiamento climatico?

«L’oceano scambia continuamente energia e calore, acqua e gas (ossigeno, CO2…) con l’atmosfera. In termini di cambiamento climatico, l’aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera, in conseguenza alle attività umane, fa sì che CO2 e temperatura atmosferiche aumentino dando luogo al riscaldamento globale. Se è vero che le temperature dell’aria sono in aumento, la maggior parte del calore è stato assorbito dall’oceano (90% contro l’1% nell’atmosfera). In pratica il riscaldamento climatico è il riscaldamento dell’oceano, che svolge un ruolo fondamentale per il clima globale e il cambiamento. L’oceano ha infatti una forte capacità termica: può riscaldarsi e raffreddarsi molto lentamente ed è in grado di immagazzinare una quantità di calore mille volte superiore a quella dell’atmosfera. L’oceano restituisce poi questo calore all’atmosfera in periodi che possono essere brevi (qualche giorno) ma anche coprire diversi secoli: l’oceano ha il ruolo di grande regolatore del clima globale».

– Gli oceani sono importanti riserve di ossigeno, come e più delle grandi foreste: come funzionano?

«L’oceano contiene dissolti molti gas, fra i quali l’ossigeno e la CO2, che provengono dagli scambi con l’atmosfera. Spinti in profondità dalle correnti, sono utilizzati dalla vita marina per respirare (l’ossigeno) o, per esempio, per costruire il proprio scheletro (la CO2 per certi microrganismi). La concentrazione di CO2 sta aumentando nell’oceano, così come nell’atmosfera, emessa in quantità sempre maggiori dalle attività umane: ma questo ha anche l’effetto di aumentare il pH (acidità) dell’oceano e ciò potrà diventare impattante per la vita nel mare.

La concentrazione dell’ossigeno dipende non solo dalla vita in mare, che lo consuma, ma anche dalla temperatura dell’acqua. Più l’oceano si riscalda, meno ne può contenere e dunque meno ne può immettere in profondità. Questa diminuzione può essere molto impattante in quelle regioni oceaniche dove il livello di concentrazione dell’ossigeno è debole e quindi, con l’aumentare della temperatura, la concentrazione diminuisce ulteriormente rendendo sempre più difficile lo sviluppo e il benessere degli ecosistemi che vivono in quelle zone».

– Il problema non è solo legato al “contenuto” di mari e oceani, ma anche al loro innalzamento: possiamo quantificarlo?

«Il livello del mare si sta innalzando perché l’acqua che è immagazzinata sui continenti come neve ma soprattutto come ghiaccio (le calotte glaciali in particolare) si scioglie ogni anno di più e arriva in mare aumentandone il volume. Gli scienziati oggi non sanno esattamente quanto rapidamente i ghiacciai e, soprattutto, le calotte polari si scioglieranno. Infatti, le proiezioni dei modelli climatici su questo punto non sono robuste perché non contengono i processi fisici delle calotte glaciali. Quindi l’aumento stimato di 1 m del livello del mare (media mondiale nel 2100 secondo l’IPCC 2021) alla fine del nostro secolo potrebbe essere una stima assai ottimistica. Il mare si innalza anche perché l’acqua, scaldandosi, si espande. Oggi, l’aumento del livello del mare (20 cm circa rispetto al livello nell’era pre-industriale) è dovuto per il 60% allo scioglimento del ghiaccio continentale e per il 40% al riscaldamento del mare. Con il tempo, però, sarà lo scioglimento dei ghiacci che determinerà il livello». 

– Di fronte a fenomeni di questa portata ci sono precise responsabilità che non si possono rimandare. Tempo fa lei scriveva: «Bisogna ripensare i piani urbanistici, spostare intere popolazioni, cambiare in alcuni luoghi le coltivazioni, piantare alberi resistenti che aiutino a moderare le alte temperature. (…) I politici devono prendere nuove decisioni per arginarli e prevenirli». Quali sono?

«Oggi ci sono due azioni urgenti che possono intraprendere solo i governi, con le loro capacità decisionali e legislative, la possibilità di agire (creare, trasformare) delle infrastrutture, i modi di consumazione energetica, i piani territoriali e urbani, la regolazione dell’agricoltura e la gestione del litorale e della pesca:

1) diminuire drasticamente le emissioni di gas a effetto serra per non peggiorare lo stato del clima e i suoi impatti, trasformando il consumo energetico, che deve assolutamente abbandonare i combustibili fossili (petrolio, gas). Questo ovviamente significa cambiare il combustibile/l’energia usati nei trasporti, nell’industria, ma anche trasformare (rendendoli più efficaci) l’isolamento termico delle abitazioni, i nostri modi di viaggiare, comprare e consumare, ecc.

2) lavorare sull’adattamento agli impatti del clima: oggi nulla è fatto da nessun governo o collettività territoriale, se non qualche azione qua e là, ma senza studi sull’efficienza e sugli impatti di queste soluzioni. Per esempio una diga davanti a un porto può indurre un aumento dell’erosione nelle zone litorali prossime. C’è molta ignoranza sulla questione climatica: nessuno pensa che il clima della Terra, sia così sensibile alle attività umane.

Insomma, nessuno fa nulla di concreto da nessuna parte: vediamo se il “piano clima” di Biden porterà a qualche cosa. In ogni caso le ondate di calore di quest’anno e la siccità che ne è una conseguenza stanno mettendo in ginocchio, fra altre cose, l’agricoltura italiana, francese ed europea in generale. Fra -30% e -50% di rendimento: un impatto economico, sociale e anche di riserva alimentare importanti. Questi eventi faranno cambiare rotta ai nostri governi? Speriamo! Intanto in Francia siamo riusciti a mettere nel programma scolastico delle medie e dei licei il clima e il cambiamento climatico. Le giovani generazioni dei nostri paesi sono già più sensibili alla questione e alcuni stanno diventando ingegneri, politici, agricoltori. Chissà, magari in un paio di anni l’approccio cambierà radicalmente. In ogni caso è veramente arrivata l’ora di agire».