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Consiglio ecumenico, appello all’unità

 

Si chiude l’undicesima Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), il “gotha” dell’ecumenismo a livello mondiale, la più ampia riunione dei cristiani e delle cristiane – e non solo – da tutti i continenti.

«Riconciliazione» la parola-chiave. E all’insegna dell’inclusione si sono svolti i lavori e le tante iniziative a margine del summit ufficiale. Grande spazio è stato infatti riservato a popolazioni indigene, esponenti da tutto il mondo, ma anche tantissime voci della società civile, attivisti e realtà impegnate per i diritti delle persone e dell’ambiente.

Questa mattina l’ultima plenaria con le dichiarazioni del “public issues committee“, la commissione che si occupa in buona sostanza delle questioni di più stretta attualità politica – come guerre e ambiente – e importanza sociale.

Il documento “Guerra in Ucraina, Pace e giustizia nella regione europea” è stato al centro di una discussione, nel contesto di un’Assemblea in cui sedevano sia i rappresentanti della chiesa russa sia delle chiese ucraine. Il testo, che sostanzialmente riprende le posizioni espresse dall’ultimo Comitato centrale del Cec, è stato inizialmente contestato da entrambe le parti, cosa che tuttavia non ne ha impedito l’approvazione. «il proposito del documento non è di essere esaustivo o di compiacere una o l’altra parte, ma di permettere la continuazione del dialogo, fare in modo che il Cec continui ad essere uno spazio di dialogo sulla strada della riconciliazione», ha spiegato l’arcivescovo Angaelos della Chiesa copta ortodossa e moderatore della Commissione per le questioni pubbliche del Cec.

Lo stesso documento su “Guerra in Ucraina, pace e giustizia nella regione europea” verte, come anticipato, anche sulle migrazioni e comprende un preciso riferimento all’esperienza dei corridoi umanitari e dei progetti di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Torsten Moritz, segretario generale della Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME), conferma: «Le migrazioni hanno avuto un ruolo in questa 11^Assemblea, dai Brunnen alle conversazioni ecumeniche fino alla discussione anche in plenaria e come risultato, nel testo della dichiarazione finale, c’è una pagina su migrazioni, razzismo e xenofobia. È un ottimo risultato e un buon segno, utile nel senso che riconosce davvero l’impegno delle chiese, particolarmente in Europa negli ultimi nove anni, da Busan a oggi, e quanto è stato raggiunto rispetto alla protezione dei migranti. C’è ancora molto da fare, anche in termini di advocacy. In questo contesto per la prima volta in un organismo ecumenico di questo livello c’è un riferimento preciso ai passaggi sicuri e ai corridoi umanitari: è il riconoscimento del lavoro che le chiese che fanno parte del Ccme e del Cec sulle questioni migratorie hanno fatto e continuano a fare».

Il clima è stato l’altro grande protagonista dei lavori dell’Assemblea generale: a breve sul sito www.oikumene.org saranno pubblicati tutti i materiali dell’evento, inclusa la dichiarazione pubblica a proposito di ambiente e cura del creato.

Su un altro documento particolarmente discusso, quello sulla situazione in Medio Oriente, e la pace in Palestina e Israele, è stata trovata alla fine dei lavori una sintesi che ha sostanzialmente dato conto delle diverse posizioni espresse dalle delegazioni (in particolare, rispetto all’uso del termine “apartheid”).

Il testo rileva che le autorità stanno comprimendo la presenza cristiana a Gerusalemme, minacciando lo status quo e l’identità multireligiosa e multiculturale della città, oltre a sfollare i palestinesi.

La dichiarazione afferma che il Cec guarda alla regione del Medio Oriente per «le origini storiche della nostra fede, dove Gesù Cristo è nato, crocifisso e risorto».

Il Cec ha affermato il posto legittimo di Israele nella comunità delle nazioni, riconoscendo le sue legittime esigenze di sicurezza.

«Allo stesso tempo, affermiamo il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967, così come la costruzione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, è illegale secondo il diritto internazionale e deve finire».

Il sodalizio ecumenico mondiale ha sempre cercato di essere solidale con i cristiani del Medio Oriente, che continuano una linea ininterrotta di fedele testimonianza cristiana nei loro Paesi, dando contributi vitali alla vibrante diversità e allo sviluppo delle loro società.

«Gli sconvolgimenti, l’estremismo violento che usa la religione come giustificazione, le occupazioni militari in corso, le discriminazioni e le violazioni sistematiche dei diritti umani, le crisi economiche e la corruzione, l’assenza dello stato di diritto e altri fattori hanno contribuito a una crisi gravissima per tutti nella regione».

«Riconosciamo la minaccia al futuro dei cristiani indigeni e di tutti i popoli del Medio Oriente», si legge  ancora nella dichiarazione, che esprime anche preoccupazione per «un’altra ondata di sfollamenti forzati di palestinesi dalle loro case – a volte in più occasioni dal 1948 – come a Sheikh Jarrah, Silwan, nelle colline meridionali di Hebron, così come nel resto dell’Area C».

Il Cec si è infine pronunciato, con tre brevi note, su altrettanti conflitti o situazioni che destano preoccupazioni: Nagorno KarabakhCorea e Papua.

 

Photo: Simon Chambers/WCC