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Il discorso del patriarca ecumenico Bartolomeo all’11a Assemblea del Cec: «Ripristinare l’immagine infranta della creazione richiede pentimento e resurrezione»

Il patriarca ecumenico Bartolomeo ha portato i suoi saluti e un messaggio incisivo ai delegati/e e ai/alle partecipanti dell’11ª Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) in corso da ieri a Karlsruhe, in Germania.

Ha iniziato le sue osservazioni con l’insegnamento e la convinzione che «la luce di Cristo brilla più di qualsiasi oscurità nei nostri cuori e nel nostro mondo», offrendo questa idea come premessa di fondo al tema dell’assemblea, ovvero che «l’amore di Cristo muove il mondo alla riconciliazione e all’unità».
 
Eppure, ha suggerito, siamo rimasti al di sotto di questo ideale. Ponendo a ciascuno di noi la domanda: «Come possiamo conciliare la nostra magnifica fede con il nostro manifesto fallimento?».
 
Il patriarca ecumenico si riferiva al nostro «peccato di ignorare la presenza divina in tutte le cose e in tutte le persone» e alla nostra incapacità di guardare più in grande di noi stessi per «discernere e individuare lo scopo per cui Dio ha creato tutti e tutto».
 
Le sue parole sono state pronunciate il 1° settembre, giorno «consacrato alla preghiera e alla protezione della sacra creazione di Dio» e giorno che «i cristiani ortodossi dal 1989 dedicano alla preghiera per la protezione del dono di Dio della creazione».
 
Sua Santità ha citato il cambiamento climatico come la più grande minaccia per il nostro pianeta, descrivendo la necessità di un pentimento «dalle abitudini indiscriminate e dalle pratiche distruttive nei confronti di altre persone e in relazione alle risorse della natura». Ha anche richiamato l’attenzione sull’attuale conflitto in Ucraina e sulla «sofferenza ingiusta dei nostri fratelli e sorelle», come spazio in cui impegnare il nostro pentimento.
 
Pronunciando le sue parole a distanza, Sua Santità ha sottolineato che siamo in grado di «restaurare l’immagine infranta della creazione», adottando uno spirito di umiltà e apprezzando il mondo «come più grande di noi stessi». Tutta la creazione «costituisce una liturgia cosmica», ha continuato, e c’è «bisogno di un pentimento cosmico e di una resurrezione cosmica».
 
«Non dovremmo mai ridurre la nostra vita religiosa a noi stessi e ai nostri interessi. Dobbiamo sempre ricordare la nostra vocazione a trasformare tutta la creazione di Dio».

Qui di seguito il discorso integrale del patriarca Bartolomeo:

«Illustri organizzatori e delegati,

Amati partecipanti e amministratori dell’11ª Assemblea del Consiglio Mondiale delle Chiese,

Cari amici, fratelli e sorelle,

Una dei punti centrali e degli insegnamenti del cristianesimo attraverso i secoli è la convinzione che la luce di Cristo risplenda più luminosa di qualsiasi oscurità nei nostri cuori e nel nostro mondo. Noi cristiani affermiamo e dichiariamo che la gioia della risurrezione irradia e prevale sulla sofferenza della croce. Questo è ciò che sosteniamo, questo è ciò che predichiamo e questo è ciò che proclamiamo al mondo intero. Infatti, “se Cristo non fosse risuscitato dai morti, il nostro messaggio non avrebbe senso e la nostra fede sarebbe vana” (1 Cor 15,14). Questa è sicuramente la premessa e il fulcro del tema di questa assemblea, che professa che “l’amore di Cristo muove il mondo alla riconciliazione e all’unità”.

Eppure, anche se ci guardiamo intorno, siamo costretti a confessare che non abbiamo praticato – e continuiamo a non praticare – ciò che abbiamo predicato per venti secoli. Come possiamo conciliare la nostra magnifica fede con il nostro manifesto fallimento?

La risposta si trova nel passo scritturale della plenaria di questa mattina, che si svolge il 1° settembre, giorno che i cristiani ortodossi dal 1989 dedicano alla preghiera per la protezione del dono di Dio della creazione e in cui i cristiani di tutte le confessioni e comunioni si impegnano a promuovere il ministero della cura della creazione. Nella Lettera ai Colossesi (1, 19-20), leggiamo che: “In Cristo si è compiaciuta di abitare tutta la pienezza di Dio e per mezzo di lui ha riconciliato a sé tutte le cose, sia in cielo che in terra, facendo pace per mezzo del sangue della croce”.

Questo passo presuppone una differenza fondamentale tra la visione del mondo secolare e quella spirituale. La persona con una mentalità secolare sente di essere il centro dell’universo. Al contrario, la persona con una mentalità sacra ritiene che il centro dell’universo sia altrove e negli altri.

Una visione del mondo spirituale suggerisce una visione del mondo allargata, più ampia o ecumenica, centrata ed equilibrata in Cristo come cuore dell’universo. È questo che fornisce la fonte della riconciliazione e la garanzia della trasformazione. Percependo il mondo attraverso questa lente di trasfigurazione e trasformazione cosmica, siamo in grado di intraprendere – come individui e come società – il restauro dell’immagine infranta della creazione, un processo che implica il riconoscimento della responsabilità per il peccato di ignorare la presenza divina in tutte le cose e in tutte le persone. L’intero universo – tutta la creazione – costituisce una liturgia cosmica. Quando siamo iniziati al mistero della Risurrezione e trasformati dalla luce della Trasfigurazione, allora siamo in grado di discernere e individuare lo scopo per cui Dio ha creato tutti e tutto.

C’è bisogno di un pentimento cosmico e di una resurrezione cosmica. Ciò che è richiesto non è altro che un radicale capovolgimento delle nostre prospettive e delle nostre pratiche. Il “sangue della croce” nel riferimento apostolico di cui sopra rivela e indica una via d’uscita dalle nostre impasse, proponendo l’autocritica e il sacrificio di sé come soluzioni all’egocentrismo. Il “sangue della croce” fornisce un modo per assumere la responsabilità delle nostre azioni e del nostro mondo. Dovremmo tutti adottare uno spirito di umiltà e apprezzare il mondo come più grande di noi. Non dovremmo mai ridurre la nostra vita religiosa a noi stessi e ai nostri interessi. Dovremmo sempre ricordare la nostra vocazione a trasformare tutta la creazione di Dio.

Tuttavia, la minaccia più grande per il nostro pianeta non è il nuovo coronavirus, ma il cambiamento climatico. Il crescente ma trascurato tributo dell’aumento delle temperature globali eclisserà l’attuale numero di morti per tutte le malattie infettive messe insieme, se il cambiamento climatico non verrà limitato. Sulla scia della pandemia, persino il World Economic Forum ha chiesto “un grande reset” del capitalismo, sostenendo che la sostenibilità sarà raggiunta solo attraverso drastici cambiamenti nello stile di vita. Questo è ciò che abbiamo descritto come la necessità di un pentimento (o metanoia) dalle abitudini indiscriminate e dalle pratiche distruttive nei confronti delle altre persone e delle risorse della natura.

Cari fratelli e sorelle,

se vogliamo cambiare le nostre priorità e i nostri stili di vita, dobbiamo farlo insieme, come chiese e comunità, come società e nazioni. Dobbiamo “portare i pesi gli uni degli altri se vogliamo adempiere la legge di Cristo” (Gal 6,2). A questo proposito, ricordiamo l’attuale guerra e l’ingiusta sofferenza dei nostri fratelli e sorelle in Ucraina. Soprattutto, quindi, dobbiamo impegnarci nel pentimento e nella conversione dei nostri cuori e delle nostre vite. Oggi è “l’occasione giusta” (Is 49,8), “il tempo favorevole e il giorno della salvezza”. “Il tempo di agire per il Signore è adesso” (Sal. 119,126).

Questa è la nostra fervida preghiera per tutti voi dell’XI Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese in questo giorno consacrato alla preghiera e alla protezione della sacra creazione di Dio».

Foto di Albin Hillert