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Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese: i suoni, i colori, le voci dell’ecumene

L’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) non è solo occasione di importantissimi dialoghi e incontri fra le chiese del mondo, ma è anche e soprattutto un grande momento di preghiera collettiva. Stamane il coloratissimo e musicale culto ha mostrato canti e preghiere in un gran numero di lingue differenti, uno spettacolo coinvolgente. Ogni mattina alle 8.30 i culti sono visibili a questo link.

Mentre le campane di Karlsruhe, in Germania, risuonavano in tutta la città, migliaia di cristiani si sono riuniti da ieri mercoledì 31 agosto nella tenda di preghiera che è un po’ il luogo centrale dell’11ª Assemblea del Consiglio ecumenico. I rappresentanti di ciascuna delle otto regioni geografiche in cui il Cec è attivo hanno portato doni e preoccupazioni che riflettono i loro contesti culturali e storici. La congregazione internazionale ha pregato in segno di ringraziamento a Dio, aggiungendo le proprie aspettative per i nove giorni dell’Assemblea: «Condividiamo la speranza di incontrarci l’un l’altro nel caldo abbraccio dell’amore di Cristo che ci spinge alla riconciliazione e all’unità». La solenne osservanza è stata interpretata attraverso colori, movimenti, parole, immagini e suoni tratti dall’ampiezza del movimento cristiano globale. Antichi canti liturgici, inni, danze tradizionali e canzoni moderne hanno animato i credenti.

Le preghiere di apertura hanno sottolineato l’ambientazione contemporanea di questa assemblea, lamentando: «Condividiamo il peso e il dolore di questo tempo di pandemia di Covid. Condividiamo il peso e il dolore dei conflitti armati e delle loro conseguenze in termini di morti, distruzione e migrazioni forzate. Condividiamo il peso e il dolore delle piaghe preesistenti dell’ingiustizia, della povertà strutturale, della violenza e di una creazione che soffre. Portiamo a voi il ricordo delle vittime di tutte queste pandemie».

Il predicatore della giornata è stato il patriarca Giovanni X della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia (in Siria) e di tutto l’Oriente. Ha parlato in arabo, con traduzioni disponibili in altre lingue. L’omelia del patriarca si è basata sull’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo, narrato nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni. Nonostante le ampie differenze di credo religioso, genere, cultura e stile di vita, Gesù prese sul serio la donna e le parlò a livello personale. Il patriarca ha incoraggiato un simile superamento dei confini, esortando i suoi ascoltatori, le loro chiese e le loro nazioni a «scegliere di passare attraverso il sofferente Medio Oriente, come Cristo scelse di passare attraverso la Samaria. Passate e guardate gli amati di Cristo lì, come lui guardò i Samaritani, senza trascurare coloro che differiscono da voi, senza escludere i popoli della Siria, del Libano, dell’Iraq e della Terra Santa di Palestina, soprattutto perché i loro antenati hanno servito il Vangelo della riconciliazione e lo hanno diffuso a tutte le nazioni».

Tra le condizioni specifiche in Siria e nei Paesi limitrofi citate dal patriarca, ha invitato i membri dell’Assemblea del Cec ad «alzare la voce contro l’esclusione dei popoli del Medio Oriente, e contro la privazione di cibo, medicine, riscaldamento e cure mediche, e contro le sanzioni e i blocchi economici con il pretesto di disaccordi politici. Opponetevi alla messa al bando dei cristiani e delle loro preghiere e inni, che discendono dall’eternità di Cristo, dalla terra che Cristo ha calpestato e su cui hanno lavorato gli apostoli. Alzate la voce e fate un appello per far conoscere la sorte dei metropoliti di Aleppo, Paul e Youhanna, il cui caso è passato inosservato dalla comunità internazionale per più di nove anni».

Quando le persone sono emarginate e dimenticate, ha concluso il patriarca, la speranza di riconciliazione svanisce. Ma «quando c’è una genuina empatia e interesse per una situazione, le azioni di sostegno diventano serie nella loro applicazione e persistono finché non raggiungono il loro obiettivo. I cristiani di Antiochia meritano di essere protetti da esclusione, discriminazione, fame, oppressione, tormento e morte».

Dopo l’omelia, Ann Jacobs, volontaria per il reinsediamento dei rifugiati della Chiesa metodista unita negli Stati Uniti, ha pregato: «Possa il nostro amore essere un balsamo, che guarisce le ferite e cura i luoghi del dolore. Che il nostro amore sia radicale, vicino ai margini, privilegiando le persone rispetto al profitto. Che noi, nel nostro amore, possiamo offrire Cristo gli uni agli altri, traboccando di pace e riconciliazione. Che sia così. Amen».

Foto di Albin Hillert