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Morto Gorbaciov, si chiude il “secolo breve”

Michail Gorbaciov è morto all’età di 92 anni. L’ultimo Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il cui nome è legato ai processi di riforma passati alla storia come perestrojka (ristrutturazione) e glasnost (trasparenza), che hanno innescato la catena di eventi che ha poi provocato la dissoluzione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche e la riunificazione della Germania nel 1991.

«Venticinque anni fa, la sera del 9 novembre 1989, si apriva il muro di Berlino» scriveva il pastore Bruno Gabrielli in un articolo per Riforma datato novembre 2014, che così prosegue: «Tempo due anni e l’intero mondo del “socialismo reale” europeo si sarebbe sgonfiato del tutto, come un pallone bucato. Con il senno di poi c’era da aspettarselo, perché di segni premonitori, sin dall’inizio di quel decennio, ne avevamo già avuti parecchi, piccoli e grandi: i successi del sindacato Solidarność in Polonia, favoriti dall’eccezionale maestria politica di papa Wojtyła; la lenta ma inesorabile crescita, sotto il tetto delle chiese evangeliche nella Repubblica democratica tedesca (Ddr), di un movimento per la pace sempre più critico verso il regime totalitario del proprio paese e protagonista del movimento ecumenico per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato; soprattutto, l’evidente impossibilità dell’economia sovietica di sopportare i costi della corsa forsennata al riarmo atomico imposta dal grande nemico, gli Stati Uniti di Reagan; ma poi ancora: la perestrojka di Gorbaciov; i treni stracarichi di fuggitivi che già da due mesi lo aggiravano, il muro, ridotto a “linea Maginot” in seguito all’apertura della cortina di ferro sul confine fra Austria e Ungheria».

Cinque anni dopo, nel 2019, toccava all’ex ministro Valdo Spini ricordare quei giorni di incredibile fermento: «Le forze socialiste e di sinistra in Europa non erano preparate a un avvenimento così repentino. Al potere nell’Urss c’era Gorbaciov e in generale si pensava di puntare su un’evoluzione del comunismo sovietico in senso più liberale che sul suo crollo…Il blocco sovietico cadde per motivi endogeni collegati al fallimento economico e sociale del sistema. Dopo la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa di Helsinki, la distensione aveva fatto passi in avanti. Sulla questione degli euromissili si era arrivati veramente all’“opzione zero”, cioè alla loro eliminazione da una parte e dall’altra dell’Europa. Il problema è che il sistema non reggeva più. Me ne resi conto anche personalmente quando mi recai a Mosca a un bellissimo convegno sull’ambiente credendo di trovare un Gorbaciov molto popolare, e invece, da quel po’ di contatti che mi riuscì di stabilire, dovetti constare la sua assoluta impopolarità proprio per le difficoltà di vita concrete della popolazione».

Nella sua seconda vita, una volta estromesso dalle stanze dei bottoni, Mikhail Gorbaciov è stato fra l’altro il fondatore della Ong Green Cross International, che dal 1992 si occupa di sviluppo sostenibile e diritti delle popolazioni rurali e indigene.

«Nei 30 anni e oltre trascorsi da quei giorni si è imposto quasi ovunque nel mondo – proseguiva nella sua analisi il pastore Gabrielli – , finalmente liberato dal braccio di ferro fra capitalismo e socialismo reale, il “pensiero unico” della crescita economica a tutti i costi – incurante dello stato di salute del piccolo pianeta sul quale viviamo e dei limiti delle sue risorse – e della deregulation, vale a dire la legge della giungla: sempre meno doveri per i soggetti forti e, di conseguenza, sempre meno diritti per i più deboli.. Com’è potuto accadere? Miroslav Volf, evangelico battista originario di Osijek e oggi teologo a Harvard, riferendosi in particolare alla guerra dell’ex-Jugoslavia, lo spiegava a partire da una parabola di Gesù (Matteo 12, 43-45) [cfr. la rivista Protestantesimo n. 4/1993]: abbiamo cacciato dalla porta lo «spirito maligno» del comunismo autoritario – o meglio, più in generale, degli autoritarismi di destra e di sinistra degli imperi di una volta – ma non abbiamo saputo riempire il vuoto lasciato da quel vecchio spirito con lo spirito benigno di un’autentica democrazia solidale. Perciò, al posto di quel vecchio spirito maligno, ci siamo ritrovati presto alle prese con «altri sette spiriti peggiori di lui» entrati dalla finestra, a tutti gli effetti ancor più vecchi (un proliferare di rivendicazioni identitarie ed esclusive etniche, nazionali, regionali, religiose) o solo apparentemente nuovi (in particolare il liberismo della deregulation di cui sopra ovvero «Mammona», il dio denaro) ai quali sacrificare ogni altro valore, ogni altra idea, ogni ideale, ogni progetto (o anche solo sogno) di un mondo più giusto, solidale e perciò pacifico».